Il venti agosto del 1885 nasceva a Marradi, nella Romagna-Toscana, il poeta Dino Campana. A cento venticinque anni dalla sua nascita la forza spirituale, la tradizione e la modernità dei suoi versi continuano a catturare, in tutto il mondo, tantissimi appassionati, soprattutto giovani. Settantotto anni dopo la sua morte (Castelpulci-Firenze) la poesia campaniana espressa in una sola opera i “Canti Orfici” più le lettere, i frammenti ed il taccuino ha conquistato un posto significativo nel panorama letterario del novecento. Per me il percorso campaniano, lo studio e la ricerca sull’appassionante vicenda letteraria ed umana del grande poeta di Marradi rappresenta, in fondo, il tentativo di ricordare come nella dimensione universale che la poesia di Dino Campana ha raggiunto,” un po’ del suo sangue sia rimasto lassù, fra le rocce di Marradi”, mescolandosi, idealmente, a quello dei suoi concittadini. Mi piace parlare dell’influenza della poesia di Whitman, di Leopardi e di Satta su Campana, dei suoi rapporti con i futuristi, con la pittura, la scultura la musica ed il cinema. Ripercorrere luoghi e vicende campaniane legate al territorio toscano: Campigno Castagno, Rifredo, Casetta di Tiara, Borgo San Lorenzo, La Falterona, Firenze. Lastra a Signa, Livorno, Cecina, ma anche a quello romagnolo, Faenza soprattutto. Campana era schivo, riservato, se ne stava spesso in disparte ma la sua condizione errabonda gli era valsa una consapevolezza dell’ambiente in cui scriveva che era pari alla sua robusta preparazione culturale. L’attualità e la duttilità della poesia campaniana che pure è per tanta parte difficile e complessa ne fa anche nel contempo una poesia popolare. Quest’anno ricorre il centenario del viaggio di Campana alla Verna, immortalato dal poeta marradese nelle pagine dei Canti Orfici ed il Centro Studi Enrico Consolini venerdì 20 agosto alle ore 21.00 nella “Corte delle Domenicane” lo celebra proponendo il poema in prosa della Verna e uno studio critico del prof. Sandrini corredato da fotografie a colori che Aldo Ottaviani ha scattato nel paesaggio appenninico sul quale si snodò il faticoso itinerario di Campana e con un suggestivo incontro tra poesia e musica dal titolo “Il canto fu breve” con la lettura integrale del Diario alla Verna affidata alla voce dii Pier Luigi Berdondini, accompagnato dalle note delle Sei Metamorfosi di Benjamin Britten, eseguite da Marco Salvatori, primo oboe dell’Orchestra del Maggio Musicale Fiorentino.. Io voglio ricordare i versi di Dino Campana, tratti dalla lettera che Campana da Marina di Pisa, il 13 ottobre 1916 inviò all’Aleramo
Egregia Sibilla,
Siete ammalata: me ne dispiace! quanto a me ho perso l’abitudine di lamentarmi. La padrona voleva che vi scrivessi non so che cosa. Ho rifiutato. Poi le ho fatto dire: perché mi ricorda sempre la signora? So che vorreste avere la forza di seguire (?) il vostro destino e di…Papini (tanto mi odiate?)
Fabbricare, fabbricare, fabbricare
Preferisco il rumore del mare
Che dice fabbricare fare e disfare
fare e disfare è tutto un lavorare
Ecco quello che so fare. Scrivete. Addio.
Viene spontaneo sottolineare come in questa cantilena di pochi versi, posteriori ai Canti Orfici, Campana, come afferma Christophe Mileschi, “racchiuda con mirabile lucidità e concisione tutti i segreti della sua poetica. Il rifiuto di fabbricare poesia, di fabbricare e basta, di produrre versi applicando qualche metodo, sfornandoli da qualche stampo, rifiuto che è anche – agli albori dell’era (che è tuttora e più che mai la nostra) della mercificazione della letteratura, quella che Campana chiamò l’industria del cadavere – una precisa presa di posizione ideologica; la natura (qui il mare, in altri testi la montagna, la pampa, l’acqua sorgiva, la stessa roccia, ferma solo in apparenza…) come modello (irraggiungibile) dell’arte più autentica, perché sempre travagliata dal movimento.
Ed infine mi piace ricordare come “I Canti Orfici siano un grande album di un paesaggio influenzato da citazioni culturali tutte importanti, Dante, S. Francesco, Giotto, Michelangelo, Leonardo, Piero della Francesca, ma anche un modo rivoluzionario di leggere, d’impaginare di mettere a fuoco e di riprendere e fotografare il paesaggio, senza che questo perda il valore pittorico e letterario. Una poesia, quella di Campana, che si snoda lungo i sentieri, le strade ed i mari della “partenza e del ritorno”. Un itinerario giocato su punti di luce in continuo movimento, spesso accompagnato ad una moderna e percettibile sensazione di “scorci di taglio decisamente cinematografico “. “Il mattino arride sulle cime dei monti. In alto sulle cuspidi di un triangolo desolato s’illumina il Castello, più alto e più lontano… (Marradi)
“La Chiesa ha un portico a colonnette quadrate di sasso intero nudo ed elegante, semplice e austero, veramente toscano: tra i cipressi scorgo alti portici… ” (Sulla Falterona). “La Falterona verde, nero e argento… ribollimenti arenosi di colline laggiù sul piano di Toscana ” (Campigna, foresta della Falterona).
“… L’azzurro si apre tra questi due alberi, il noce è davanti alla finestra della mia stanza…” (Presso Campigno). Questi alcuni tratti della dolcezza severa dei paesaggi toscani tra il presagio dei suoi “divini primitivi”: Giotto, Dante, Leonardo, Michelangelo e Frate Francesco ai quali Campana conferisce immortalità poetica.
Rodolfo Ridolfi