Ravenna giovedì 29 dicembre 2011
Sabato 10 dicembre, a Marradi c’erano fra i relatori il Sindaco Paolo Bassetti, la Presidente del Centro Studi Mirna Gentilini, il Presidente del Consiglio Comunale Eugenio Giani, l’onorevole Stefania Fuscagni alla presentazione al Centro Studi Campana del nuovo libro di Rodolfo Ridolfi, il 23 dicembre nella sala verde del Palazzo Comunale di Faenza fra i relatori, insieme al Presidente faentino della Fondazione Free Tiziano Cericola, l’ex Sindaco socialista di Faenza Giorgio Boscherini, l’ex sindaco di Brisighella Vincenzo Galassini, il capogruppo del Pdl a Casola Valsenio Fabio Piolanti, la capogruppo berlusconiana di Faenza Raffaella Ridolfi ed il 28 a Ravenna al Circolino di San Pietro in Vincoli è stato il consigliere regionale del Pdl Gianguido Bazzoni ad introdurre il libro: Domenico Vanni Sovversivo per la libertà edizione Marradi free news. A Marradi in sala alcuni tra i protagonisti delle vicende raccontate nel libro e poi il magistrato fiorentino Giuseppe Buonincontro, il partigiano comunista Giovanni Bellini i famigliari dei deportati a Mauthausen ed il renitente alla leva della Repubblica sociale del 1944 Beppino Ridolfi . La presentazione è stata l’occasione per celebrare Domenico Vanni classe 1889 scalpellino, pioniere del socialismo toscano, consigliere provinciale di Firenze nel 1920, antifascista, partigiano, deportato a Mauthausen, vicesindaco di Marradi nel 1946 socialdemocratico imprenditore a Parigi. Un altro saggio quello di Rodolfo Ridolfi che partendo dal nonno riscrive una parte importante della storia politica ed amministrativa di Marradi fra le due guerre e si spinge fino agli anni 90. Ridolfi ricostruisce inoltre in maniera organica la presenza delle formazioni partigiane nell’appenino, ricorda i martiri e fra questi Bruno Neri, riporta l’articolo di Marino Pascoli sulla Voce del 1947 a proposito dei falsi partigiani e rende onore a tutte le vittime. Nella prefazione si legge:. “Nel libro di Ridolfi c’è la leggerezza incosciente di un Paese che spianò la strada al regime e ne subì passivo le violenze e gli errori. Ci sono quei ragazzi italiani che attraversarono il fascismo come una malattia lunga e dolorosa ma mai mortale, perché la loro fede nella libertà era più forte e un giorno avrebbe vinto. Poi c’è la guerra civile, le atrocità, la ricostruzione vista non in astratto ma nella vita quotidiana dei nostri borghi, distrutti dalle bombe eppure vitalissimi, quasi euforici, ubriachi di democrazia. E c’è il dopoguerra, la ripresa, la crescita, il cambiamento politico e sociale. Ma nel libro di Ridolfi c’è anche altro, qualcosa che scotta e coinvolge subito il lettore: una ricerca di verità che costringe a infrangere molti miti, molta di quella retorica sulla Resistenza che per decenni ha inchiodato l’Italia ad una finzione. Da un lato c’era il Male del fascismo oppressore, dall’altro il Bene assoluto della Liberazione. La Liberazione fu una grande prova di orgoglio e di riscatto nazionale. Ma fu anche la vicenda di un popolo che – magari proprio nella Toscana della vivacissima Marradi o nella Romagna, regioni prima così nere poi d’incanto così rosse – cambiò bandiera per puro opportunismo. Fu, soprattutto, la durissima e sorda lotta fra i liberatori, che proseguì quella combattuta nei tempi dell’esilio e dell’antifascismo letterario ed epistolare. Se negli anni ’20 e ’30 Matteotti, Turati, Gobetti e Rosselli erano fra i principali nemici di Gramsci e di Togliatti, un attimo dopo aver sconfitto il nazifascismo quel conflitto si ripropose con forza, seppur celato dal trionfalismo di un Paese in festa e dalla geopolitica che voleva l’Italia in ogni caso “occidentale” e “americana”. Ben poco emerse, quindi, di un duello cruento che si svolse senza nessuna ribalta, come sepolto e dimenticato. Ben poco restò, nella memoria collettiva, di quel sangue che – per avvicinarci alla formula usata da Pansa, “Il sangue dei vinti” – fu il sangue innocente dei “vincitori”: i socialisti riformisti in primis, ma anche i liberali e i cattolici, che avevano vinto anch’essi la guerra alla dittatura ma furono presto schiacciati dall’organizzazione militare comunista. Una cultura totalitaria non dissimile da quella appena sconfitta, anzi certamente più feroce e determinata. “Mio nonno fu tanto antifascista quanto anticomunista”, dice Rodolfo Ridolfi di Domenico Vanni, e si coglie nelle sue parole un orgoglio trattenuto troppo a lungo, perché nell’antifascismo di maniera i due totalitarismi erano visti come sideralmente distanti. Invece, a creare questa separazione fu solo la tracotanza dei più potenti fra i vincitori che, come sempre accade, riscrivevano la Storia a loro piacimento. La vita di Domenico Vanni, che per l’autore è il punto di incontro di “ricordi, convinzioni ed emozioni”, va quindi oltre la biografia e diventa l’occasione di riscoprire ciò che siamo stati davvero.