A Marradi, lunedì 5 giugno 1944, giorno di mercato, alle ore 13 circa, le case vicino ai ponti della ferrovia furono ridotte ad un cumulo di macerie. Chi non riuscì ad abbandonare le abitazioni vicino ai
ponti bombardati non ebbe scampo. Fu distrutta La Filanda, l’area della Chiesa, Via Celestino Bianchi, fu distrutto l’avancorpo del Teatro che
rimase fortemente danneggiato. Dalla Galleria degli Archiroli fino a Biforco le bombe caddero nella zona di Villanceto, della Casa del Fascio
e del Foro Boario dove si registrarono distruzioni e rilevanti danni. Centoventi morti e duecento feriti, secondo i ricordi di Emilia
Cavina, la mitica infermiera, memoria storica dell’Ospedale che insieme al dottor Pietro Poloni e cinque suore si guadagnò grandi meriti
in quei difficili anni. L’ospedale, dopo il bombardamento, fu trasferito a Quadalto, frazione di Palazzuolo di Romagna. Morirono per il bombardamento:
Carlo Andreucci, Fiore Bandini, Domenico Cavina, Severina
Brunetti, Violetta Cantoni, Uberto Cappelli, Iolanda Cappelli, Clorinda
Donatini che sopravvisse due giorni all’Ospedale di Brisighella,
Domenico e Mario Ferrini, Ernesta Chiari, Maria Antonietta Escheback.
Domenico, Giuseppe e Maria Fabbri, Giuseppe Farolfi, Maria Malavolti,
Dalmazio e Zanobio Gamberi, Francesco Montuschi, Nada Torti, Pierina
Neretti, Carolina Pazzi, Pieri Aldo, Giovanni Razzi, Domenico Rontini,
Domenico Sbarzaglia, Silvio Sarini, Felice Sartoni, Antonio Tronconi,
Angiola Vespignani, Giustina Visani, Teresa Zurri, l’intera famiglia
Margheri, Pio e Filippo Bernabei, Antonio ed Arturo Baldighieri, Giulia
Calderoni, Bruno Ravagli un bimbo di casa Patisci, Idillio Ciaranfi, marito
di Leonia, la figlia di Maria Mancorti, Bruna Ridolfi. A Biforco la Villa del barone Edmond Schmidt von Secherau che era stato Sindaco prima del fascismo, dall’ottobre ‘21 al marzo del ‘23 alla guida di una maggioranza di popolari e socialisti, fu colpita da una
bomba e lo Schmidt morì. Nuovi bombardamenti fecero altre vittime:
Fortunato Mercatali, Pasquale Sartoni, Rosa Piani Bandini ed Emelia
Cavallari. I colpi di artiglieria, i cannoneggiamenti e le mine produssero
ulteriori feriti e numerosi morti: Antonio, Fiore e Rosa Bandini, Gabriella
Benelli, Giuseppe Billi, Pio Cavina. Agostino, Antonia, Assunta e
Luciano Mazzoni, Emilio Mercatali, Amedeo Palli, Eugenio Paganotto,
Domenico Scarpa, Gino Senzani, Carlo Tronconi, Assunta Visani. Il 20
ottobre del ‘44 l’ottuagenario monsignor Luigi Montuschi, Arciprete di
Marradi, moriva all’ospedale di Quadalto in seguito alle ferite riportate
dal cannoneggiamento. La salma dell’Arciprete, il 7 luglio del 1945,
venne poi traslata, con una solenne cerimonia, nel cimitero di Marradi.
Quando il trasporto numero 53 lasciò Fossoli per Mauthausen il
21 giugno ‘44 a Marradi, scrive il partigiano Roberto Denti: “Fu una
giornata tragica. Un gran numero di soldati tedeschi, forse addirittura
una divisione, con l’aiuto delle brigate nere attaccò in massa le nostre
posizioni. Il comandante aveva mandato due staffette al comando militare
del CLN di Firenze. Le staffette erano due giovani donne, una
aveva appena finito il Liceo, l’altra era una contadina di Marradi, poco
più che ventenne anche lei che informarono il CLN della drammatica
situazione in cui ci trovavamo”. Alle nove alcuni militari tedeschi trascinarono
un giovane nel Cimitero di Marradi e lo uccisero con un
colpo di pistola alla nuca. Nel pomeriggio, un militare italiano, catturato
da una pattuglia di nazisti e di repubblichini venne condotto al
Cimitero. Il cancello era chiuso, i barbari cercarono un passaggio lungo
il recinto, non trovatolo, presero il prigioniero e lo scaraventarono
all’interno, poi aprirono il fuoco e lo uccisero. Poco più tardi un altro
gruppo di nove uomini, catturati dai nazifascisti, furono condotti nel
luogo sacro, vennero fatti sdraiare a terra ed uccisi con il colpo alla
nuca. Una lapide murata a fianco dell’ingresso della Cappella Mortuaria
così ricorda quei Martiri: “Qui fremono / undici martiri spenti da tedesca
rabbia / Li baci in cielo il bel sole di Dio / Marradi pose la bianca
lapide / Perché l’oblio dei secoli futuri / Non copra delitto sì
nefando”: Benelli Giuseppe, ucciso a Monte dell’Asino, Milanesi Carlo,
Ridolfi Giuseppe, ucciso il 20 giugno nel capoluogo, Samorì Celeste e
sei corpi d’ignoti. Il sergente partigiano Sergio Iandelli, ventenne, fiorentino
della 36a Bianconcini, venne aggiunto in un secondo tempo.
A Sergio Iandelli è dedicata una lapide posta sul muro della strada che
conduce a Palazzuolo sul Senio “Nel Luglio 1944 in combattimento a
Crespino del Lamone / Sergio Jandelli / partigiano / corso in aiuto a
compagno ferito / fu catturato seviziato e ucciso dalle SS tedesche /
alla sua fraterna generosità / dette gloria duratura / l’indiscriminata
ferocia / di un nemico ciecamente brutale/a ricordo del semplice eroismo
/ di Sergio Jandelli volontario della libertà/ucciso perché credeva
/ nella solidarietà tra gli uomini / al di sopra di ogni chiuso egoismo /
i partigiani pongono / perché il ricordo sia esempio / Marradi il 23
luglio 1945”. Come si legge nel verbale di irreperibilità redatto il 10
ottobre ‘47 un altro partigiano: “In seguito al combattimento del 14
aprile 1944 sul monte Falterona era scomparso, a soli vent’anni,
Martino Alpi di Crespino sul Lamone e non si seppe più nulla di lui e
non fu possibile identificarne la salma”. Sirio Di Paolo Ancillotti partigiano,
che era nato a Marradi nel 1918, ma viveva a Fognano, durante
il rastrellamento d’aprile si ammalò di pleurite non riuscì a
riprendersi e il 6 ottobre ‘44 moriva. Il tre settembre a Campigno i
tedeschi uccidevano Igino Neri e quello stesso giorno a Rio Faggeta di
Lutirano Luigi Baldassarri. Domenica nove luglio ‘44 nel Casale di
Modigliana, dove si trovava il parroco partigiano don Angelo Savelli, si
riunì il battaglione Ravenna, forte di una quarantina di uomini, per
prendere posizione fra la banda Corbari e la 36a Brigata Garibaldi
Bianconcini. Il comando venne affidato a Vittorio Bellenghi, Nico, ex
ufficiale del Regio Esercito ed al suo vice Bruno Neri, nome di battaglia
Berni, calciatore che aveva giocato nel Faenza, nella Fiorentina, nel
Torino e nella Nazionale italiana. La formazione partigiana si mise in
movimento lungo il sentiero del crinale, diretta al Lavane e la sera
aveva sorpassato il Torretto e l’indomani avrebbe raggiunto Gamogna.
La strada fra Marradi e San Benedetto brulicava di tedeschi che avevano
alle Canove il loro comando retto da un capitano con circa cento
militari e molti uomini del luogo, rastrellati forzatamente e costretti
ai lavori stradali. I due comandanti, partigiani, Bruno e Vittorio, decisero,
con grande imprudenza, di andare da soli in avanscoperta a perlustrare
l’area. Quando, nel primo pomeriggio, con le armi in pugno,
giunsero al cimitero, vennero sorpresi allo scoperto da una pattuglia
tedesca e nello scontro a fuoco furono uccisi. Il parroco, don Angelo
Ferrini, cercò di dare ai due giovani una sepoltura dignitosa, ma, come
raccontò in una intervista del 1989, dopo aver trasportato, aiutato dal
partigiano Vincenzo Lega, i corpi dei due giovani nella cappella del cimitero parrocchiale, si recò in municipio a Marradi a chiedere le bare che
gli furono negate con questa motivazione: “Non possiamo disporre nulla
per dei traditori, per dei partigiani”. “Quindi dovemmo seppellirli in una
fossa comune avvolti nella paglia e nelle frasche”. Il giorno successivo don
Ferrini durante l’imponente rastrellamento nazista, dopo essere stato
apostrofato dai tedeschi “Tu pastore badogliano adesso fare Kaput a te e
bruciare chiesa”, come racconta Carlo Martelli nel suo libro Fascismo
Antifascismo, sfuggì per miracolo alla morte grazie all’intercessione, presso
i tedeschi, del parroco di Albero, don Vittorio Fabbri.
Dal libro “Domenico Vanni Sovversivo per la libertà”