Marradi Lunedì 1 ottobre
Nel libro di Enrico Gurioli ” Barche Amorrate. Dino Campana, la vita i canti marini e i misteri orfici” si legge: “Il Lamone è il fiume di Dino Campana. Sgorga dai monti della Colla di Casaglia, nell’Appennino dell’Alto Mugello in provincia di Firenze; attraversa Marradi, per arrivare a Faenza dove a fine ottocento il fiume offriva le sue acque al Nuovo Naviglio, un canale navigabile che arrivava al Po per poi raggiungere e confondersi con le acque dell’Adriatico. Il fiume invece superata Faenza continua il corso nel suo alveo, passa poi nelle campagne tra Russi e Bagnacavallo per terminare in una cassa di colmata presso Ravenna; è messo in comunicazione col mare presso Porto Corsini. Sono i luoghi della trafila garibaldina, dei fiumaioli, dei capanni da pesca, dei mulini, dei fiocinini in un paesaggio di pianura portato al mare da una costa bassa senza insenature, in continuo movimento per l’incessante apporto dei fiumi. In quei luoghi, malsani, su un antico approdo di poveri pescatori era stato costruito nel XVIII secolo un nuovo canale: il Candiano. Era il porto di Ravenna, “il solo a cui possa metter capo ogni strada di comunicazione tra il Granducato di Toscana e questa parte dello Stato Pontificio” scriveva Il Giornale Toscano nel 1836 e il mare ritornava nella città romagnola con la nuova darsena. Lungo la costa la Società Balnearia aveva impiantato fin dal 1876 sulla spiaggia uno “stabilimento balneario” per la talassoterapia, meta di numerosi “bagnanti” non solo ravennati mentre un moderno vaporino faceva il servizio di trasporto di costoro lungo il Candiano per sbarcarli poi a Porto Corsini. La strada di alaggio che arrivava al mare per i ravennati era diventata “la più bella strada del mondo” e meta di un pellegrinaggio nei giorni di festa con la gente che arrivava a piedi, in bicicletta o in carrozza fino al nuovissimo faro, testimone, a sua insaputa, di un nuovo interesse per lo sviluppo del porto canale da parte dei Savoia negli anni successivi all’unificazione nazionale. L’Adriatico o meglio ancora il Golfo di Venezia stava diventando un tratto di mare strategico per le flotte degli Stati Europei; la darsena di Ravenna era l’approdo più vicino alle basi navali dell’impero Austroungarico sulla costa orientale adriatica. A Porto Corsini, vicino alla città di Ravenna, accanto ai trabaccoli da pesca, ai lancioni da trasporto, ai bragozzi da lavoro cominciarono ad arrivare anche le prime torpediniere sommergibili, gli idrovolanti e le prime industrie. Ravenna da pigra città agricola si stava trasformando in un porto dell’Adriatico; rappresentava un altro aspetto della modernizzazione di quelle zone rurali al confine con le terre di Faenza frequentate dal liceale Dino Campana. “Ascolto i discorsi. La vita ha qui un forte senso naturalistico. Come in Spagna. Felicità di vivere in un paese senza filosofia. Il museo. Ribera e Baccarini. Nel corpo dell’antico palazzo rosso affocato nel meriggio sordo l’ombra cova sulla rozza parete delle nude stampe scheletriche. Durer, Ribera. Ribera: il passo di danza del satiro aguzzo su Sileno osceno briaco. L’eco dei secchi accordi chiaramente rifluente nell’ombra che è sorda. Ragazzine alla marinara, le liscie gambe lattee che passano a scatti strisciando spinte da un vago prurito bianco.” Il mare, il porto canale, le atmosfere che sanno di salsedine,le ragazzine alla marinara, le vele e le barche, l’odor di catrame e di stoppe, la darsena con i barconi erano a poco meno di una settantina di chilometri dal paese di Marradi. Il borgo si estende e si sviluppa attorno a un ponte sul fiume Lamone, segnando di fatto il confine fra la Romagna e la Toscana. Fino all’Unità d’Italia aveva rappresentato per molte famiglie anticlericali romagnole un luogo di sicuro rifugio dalla passatista e un po’ malinconica Romagna amministrata dallo Stato Pontificio. Esisteva un rapporto intenso fra questo lembo di terra di Toscana e la gente della Romagna; lungo il Lamone, percorso dalla nuova ferrovia si sviluppavano nuovi mercati e commerci in grado di sostituire il fiorente traffico di contrabbando esistente da sempre fra lo Stato Pontificio e le terre dei Lorena. () Da Ravenna invece il milite Dino Campana fu rispedito a casa il 4 agosto del 1904, soltanto dopo otto mesi di permanenza. “ Cessò dalla qualità di allievo ufficiale per non avere superato gli esami al grado di sergente” e come citava il foglio matricolare “Prosciolto dal servizio per applicazione dell’art. 353 dell’istruzione complementare al regolamento sul reclutamento.” Si trattava di una esclusione dalla carriera militare dovuta probabilmente da una ambigua moralità che mal si conciliava con un futuro di sottotenente. Invece era pronto “a salpar per l’orizzonte azzurro”! Deciso a scegliere i luoghi in cui continuare la sua ricerca di “un mattino ardente” dove far svegliare la sua anima nel sole “libera e fremente”: di frequentare da solo l’arte nelle biblioteche, nei musei, nelle pinacoteche, la gente di mare del ponente italiano fino al Mar Ligure. Un amico, studente di medicina dell’Università di Bologna , trovò con meraviglia Dino Campana non ancora maggiorenne a Genova nella zona dell’angiporto. “Tra le venditrici uguali a statue, porgenti / Frutti di mare con rauche grida/ Su la bilancia immota.…” Alla sua domanda se sarebbe tornato a Bologna Campana gli aveva risposto: “Bologna! Città di beghine e di ruffiani, mai un omicidio, mai un fatto di sangue!”Era il provocatorio commiato da un tipo di mondo e dagli studi universitari.”
Le barche lasciate abbandonate nella risacca del porto, senza ormeggio,sono le “Barche Amorrate” di Dino Campana e vanno in scena il 5 ottobre al Teatro Socjale di Piangipane con una piece teatrale voluta e presentata dal Gruppo Ormeggiatori del Porto di Ravenna per celebrare il 20° anniversario della loro costituzione in Società cooperativa. Dice il ravennate Cesare Guidi, Presidente Nazionale degli Ormeggiatori “ Il mare è lavoro, il mare è sacrificio, il mare è passione, il mare è amore, il mare è arte e come portuali ci è sembrato coerente favorire questa operazione culturale tratta dal libro di Enrico Gurioli, Barche Amorrate. Dino Campana, i canti marini e i misteri orfici, dopo aver visto in anteprima la piece al porto di Livorno nel maggio 2012”. Dino Campana viene “riscoperto” dai portuali italiani in questa sua visione del mare. Enrico Gurioli, che ha curato la messa in scena e la regia, ha raccontato l’esistenza di un Dino Campana che vive nelle stive delle navi, fra le banchine dei porti svelando, come nel libro edito da Pendragon, il significato oscuro di “barche amorrate”. Un termine rimasto per oltre ottant’anni sconosciuto ai glottologi di tutto il mondo. Quello raccontato al Teatro Socjale di Piangipane è il mare dei porti di Ravenna, Livorno e Genova; dei bassifondi de La Boca a Buenos Aires dove si parla il lunfard. La lingua dei tangueiros. Sono le atmosfere poetiche degli angiporti, delle enormi prostitute, dei gatti e del profumo di stoccafisso. Delle navi che salpano verso un nuovo mondo. Sono ambienti di una poesia nuova e marina nella quale si amalgamano i suoni amplificati dalla radio marconiana con i colori e la musica in potenti bagliori degli orizzonti azzurri. La piece è interpretata da Oscar De Summa, Riccardo Monopoli, Pape Gurioli e Federica Balucani seguendo le scansioni ritmiche e musicali della poesia campaniana