lunedì 14 gennaio
Ogni volta che sono in Sardegna cerco di ripercorrere uno dei tanti, magici, percorsi di Dino Campana e mi immagino, come, verosimilmente Campana possa aver vissuto il contatto con l’isola in occasione del suo viaggio nell’inverno del 1915. Campana scrive a Papini, in una lettera del primo febbraio di quell’anno, “la Sardegna è un paese arido e scoraggiante: sono ora a Torino!” Sicuramente Campana non arrivò in Sardegna casualmente, e non solo perché sua cognata, la moglie di Manlio era sarda, ma guidato dalla grande determinazione di verificare di persona le immagini, le suggestioni, gli stimoli letterari ricevuti da Sebastiano Satta ( Nuoro 1867-1914) i cui Canti Barbaricini erano ben noti al grande marradese; significativa la citazione di un verso della lirica Tedio (in Chiacchierata serale): Era il granito delle tombe la rosa centifoglie, che Campana scrive nel periodo torinese subito dopo essere stato in Sardegna.
Dopo quella visita-soggiorno in Gallura, a proposito della Sardegna e della sua Prosa in poesia, contenuta nel Taccuino (del quale conservo una copia della preziosa edizione del 1949 curata dal Matacotta), Campana scrive da Marina di Pisa nell’ottobre 1916 a Sibilla Aleramo: “…Una volta in Sardegna entrai in una casa con fuori una vecchia lanterna di ferro che illuminava la parete di granito. Fuori la via metteva sulla costa pietrosa che scendeva dall’altipiano al mare. Questo ricordo che non ricorda nulla è così forte in me! La costa bianca di macigni aveva bevuto il tramonto cupo e rosso che chiudeva l’isola e ora colla lanterna rugginosa solo le stelle sull’altipiano brillavano a me. Io baciai la parete di granito senza pensare e non so ancora perché. Ricordo che in quella casa stava la sarda moglie dell’alcolizzato amico dell’amico del nostro amico. Bevemmo il moscato bianco salmastro di Sardegna ed è idiota come mi ricordo di tutto questo”.
La Sardegna di Campana è un quadro intenso e vero della Gallura, della Maddalena, dell’Altipiano di Tempio con sullo sfondo i monti di Aggius.
Prosa in poesia riempie quasi cinque fogli del suo Taccuino e inizia la sua suggestiva descrizione con il motivo “bizantino” a lui così caro e ricorrente nella Notte dei Canti Orfici (il Taccuino è successivo alla pubblicazione dei Canti Orfici, Marradi-Ravagli 1914).
Prosa in poesia con alcune pennellate racchiude, insieme all’incalzare della poesia campaniana che trasmette subito a chi la legge il movimento delle onde del mare, una Sardegna vera e forte, una cultura antica legata con la sua originalità “a’n vecchio bon sangue italiano”.
Tutta mediterranea, dai toni forti e nello stesso tempo intriganti e magici, la Sardegna, pur non accolta nei Canti Orfici, perché scoperta e vissuta dopo il 1914, alla stregua della Toscana,della Romagna, della Liguria e del Piemonte appartiene a pieno titolo ai luoghi campaniani. In una lettera dell’agosto 1913 a Sibilla Aleramo, Campana scriveva: “Dalle rupi di Campigno, nelle cui rupi pietrose abita permanentemente il falco io spero di superarle e di volare sopra di esse con tutta la fierezza e la forza dell’aquila. Fra tutti gli aeroplani moderni, anche il mio seguirà il suo destino. O la morte o la Gloria!”.Campigno non è poi così lontano dagli aspri picchi della Sardegna. Campana riuscì a volare in quella terra immergendosi in quella antica e straordinaria cultura armato della sua grande sensibilità, della sua straordinaria conoscenza, di un Taccuino e di una matita per immortalare l’Isola nella Gloria di un frammento della sua Poesia.
Rodolfo Ridolfi