mercoledì 6 marzo
“Eppure ti mostri a me/ come meraviglia vestita di luce…/ Imponenti monti/ corniciano il tuo ventre,/ verdi fronde/ accarezzano l’astrale eterno.” È questa la voce di Michela Cossandi, studentessa di VA dell’Istituto professionale Chino Chini di Borgo San Lorenzo: linguaggio alto, armonia di profonda emozione modulata sul tema del paesaggio appenninico, così caro a Dino Campana, il poeta di Marradi.
L’Appennino era uno dei due argomenti proposti ai giovani delle scuole superiori di Borgo San Lorenzo e di Faenza per cimentarsi nel secondo concorso studentesco di poesia 2013, promosso dal Centro Studi Campaniani di Marradi. L’altro, il tema della città, pure altrettanto presente e vivo nelle pagine di Dino Campana, ispira la poesia del giovanissimo Alessio Mancini, terzo classificato in gara, dal titolo “Culla gigliata”, dedicata a Firenze, città d’arte e di storia dove pure “Si respira aria di monotonia”, “Odore di urina ai piedi dei cassonetti”: un quadro composto nel difficile equilibrio di luci e ombre a contrasto. Sapientemente, verrebbe da dire. Eppure si tratta di autori alle prime armi, ancora impegnati a studiare sui banchi di scuola. Ma non era forse alla sua prima vera esperienza anche il giovane Dino Campana, quando trovò il coraggio di presentare il suo manoscritto ai due più autorevoli letterati fiorentini, Giovanni Papini e Ardengo Soffici? Ricorda quest’ultimo: “… in quello scartafaccio scritto per tutti i versi… io trovai accenti di così pretta e forte poesia da restarne stupito, trattandosi per di più dell’opera di un autore alle prime armi e di aspetto tanto bizzarro.” Eh già, sconosciuto, giovane, e anche vestito un po’ a modo suo, e comunque fuori dai canoni. Forse anche per questo Campana piace tanto ai giovani: avvertono nelle sue parole il senso di una irrequietezza ribelle, la ricerca mai appagata di una verità poetica nuova, il rifiuto dell’ipocrisia e delle convenzioni, nella letteratura, nell’amore, nella vita tutta.
“Eco di una voce che attanaglia/ e opprime la mente/ voce di un amore sbocciato in Aprile/ ma bruciato in un freddo inverno”; “un folle sognatore”, così lo chiama Giuseppe Raso, secondo classificato al concorso, nella sua bella composizione dove, sullo sfondo dei lontani splendori della città del giglio, si staglia il profilo del poeta, “mitico Orfeo maestro di lira”.
A volte si ha l’impressione che l’amore e il gusto per la poesia siano cose del passato, ormai scadute, travolte dalla modernità, dai nuovi e potenti mezzi espressivi e comunicativi che i giovani padroneggiano con tanta disinvoltura. Eppure, tra le tante poesie in concorso inaspettatamente si fa largo un sonetto, di quelli classici, composti di due quartine e due terzine, nel solco della più collaudata tradizione letteraria italiana. È il testo di Stefano Abbarchi, quarto classificato, “Dai rami dell’antico bosco montano”, dove il paesaggio appenninico è colto dapprima nel pieno della calura estiva e poi nel momento della pace serale. Calare il fervore della fantasia dentro le regole del sonetto è sembrato alla giuria il segno di un agire consapevole, la volontaria sottomissione a una disciplina del linguaggio che si crede ormai in disarmo. Ma non nella scuola, evidentemente. La scuola, presente alla premiazione con intere classi al completo, a stento contenute nella sala del Centro Studi Campaniani, era testimoniata anche dagli insegnanti, quelli che hanno fatto il lavoro che non si vede, quotidiano, oscuro ma potente, per aprire il terreno prima alla voce dei poeti e poi alla voce dei ragazzi, così che la freschezza effervescente del loro sentire possa trovare espressione compiuta nella sovrana dignità della parola. Uno degli insegnanti convenuti, il professor Antonio Rugani, ha proposto al pubblico la sua lettura di alcune poesie di Dino Campana; una lettura composta e ferma, ben lontana dal vociare esagitato che molti ritengono giusto per “valorizzare” l’intensità espressiva del nostro poeta. Si capisce come attraverso insegnanti tanto dedicati possa arrivare agli allievi il messaggio liberatorio della poesia. Il professore ha pure commentato con una osservazione pirandelliana il suo intervento: in quella stanza, proprio dentro l’edificio dove Dino Campana sarà di certo entrato più volte, poiché il babbo e lo zio Torquato vi insegnarono per anni, lì, fra i libri, gli oggetti, i documenti e le immagini che lo riguardano, non sarebbe inverosimile il materializzarsi improvviso del poeta! I ragazzi hanno sorriso: Campana è già un amico per loro! Il suo inquieto girovagare tra i monti, per le strade di città ostili e amate è già entrato nella loro memoria, a testimoniare e suggerire una possibile via di libertà nella poesia.
“Ed ecco che un’enorme cintura avvolge/ Il bellissimo paese./ Ed ecco che fitte melodie/ Invadono la natura appenninica”: con questi accenti accordati sull’eco del linguaggio campaniano descrive i suoi monti Francesca Salvadori, quinta classificata al concorso. Chiamata al microfono per leggere il testo, anche lei come i compagni sembra avere fretta di arrivare in fondo, presa dall’emozione; ma la sua visione invernale dell’Appennino, forte e delicata insieme, arriva comunque all’animo di chi l’ascolta.
Quando poi viene letto il nome della vincitrice del primo premio in concorso, Adriana Romano, il pubblico dei giovani si lascia andare a un rumoroso applauso, pieno di calore. Nella sua composizione, dal titolo ”Click. Mia, m’appartiene”, l’autrice evoca la forza creatrice ed evocatrice della macchina fotografica: i suoi scatti imprigionano immagini d’incanto, ricordi di bellezze e sentimenti, suoni e anche profumi della città, che diventano poi patrimonio dell’anima. Nella struttura metrica di questa breve poesia, nelle chiusure strofiche, nell’ardito utilizzo del click come verso monosillabico, si coglie una modernità, un’originalità espressiva, una leggerezza di tocco che convincono qualunque lettore.
La mattinata volge al termine. Era cominciata con la bella presentazione di Mirna Gentilini, presidente del Centro Studi Campaniani, che ha dato il benvenuto a studenti e insegnanti e ha ripercorso le vicende salienti dell’esperienza umana e letteraria di Dino Campana. Si è conclusa con tre canzoni musicate sui versi di Campana da un giovane marradese, Francesco Chiari. Graditissimo al pubblico, ha fatto risuonare sulla sua chitarra i ritmi della poesia, con effetti singolari ed emozionanti. Ma, si sa, poesia e musica sono due creature gemelle.
Dopo un rinfresco assai apprezzato da tutti, i ragazzi hanno avuto libertà di sciamare all’esterno, per le strade di Marradi. Presi da un’euforia contagiosa, alcuni di loro si sono messi d’impegno ad intaccare i mucchi di neve un po’ ingrigita rimasti dall’abbondante nevicata della settimana scorsa. Era bello sentirli ridere e gridare nel freddo pungente della mattinata invernale.
Livietta Galeotti Pedulli