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“Nel cuore l’erba non ingiallisce mai” Pubblico delle grandi occasioni per la Presentazione del libro Email a quattro zampe della marradese Gianna Botti

domenica 12 agosto
Al Centro Studi Campaniani Enrico Consolini, prestigiosa istituzione culturale nazionale ed internazionale, in una serata indimenticabile, è stato presentato il libro “Email a quattro zampe” di Gianna Botti edito da “Altro mondo”. Nella sala, gremita di persone, Mimì, cane randagio e protagonista del romanzo, ha fatto il suo ingresso portando il libro alla Presidente del Centro Studi, prof.ssa Mirna Gentlini, che ha presentato Gianna Botti, marradese, già autrice di alcuni racconti pubblicati da vari editori e vincitrice del Premio Nazionale Mara Cassigoli ed ha letto alcuni brani del libro. Dopo il saluto del Sindaco, Paolo Bassetti, l’Assessore alla cultura del Comune di Marradi Silva Gurioli per l’occasione relatrice, ha presentato il libro. Mimì incontra al canile gli umani che vogliono adottorla: la mamma, ha i peli gialli e strani cerchietti blu intorno agli occhi, il giovane Miki e il perfetto compagno di giochi, la nonna, che conoscerà all’arrivo a casa, ha i peli gialli anche lei e gli occhi buoni. Nella nuova casa notte tempo impara ad usare il computer ed entra in Tailbook ed inizia la corrispondenza con Edith, raffinatissima JacK Russel che compone poesie, suo fratello adottivo Corky, schietto come un bicchiere di sangiovese e Merlin, gattone flemmatico dagli occhi di gelo. Il triste ambiente del canile la scena dell’incontro di una nuova vita e di una nuova felicità. Nel canile inizia lo studio da parte della meticcia bianca e nera di coloro che la vogliono adottare: la mamma, ha i peli gialli e strani cerchietti blu intorno agli occhi, il giovane Miki è il perfetto compagno di giochi, il papà ha lo stesso odore del branco, la nonna, che conoscerà all’arrivo a casa, ha i peli gialli anche lei e gli occhi buoni.
Nella nuova casa, notte tempo, impara ad usare il computer. Entra in Tailbook ed inizia la corrispondenza con Edith ,raffinatissima JacK Russel che compone poesie, suo fratello adottivo Corky, schietto come un bicchiere di sangiovese e Merlin, gattone flemmatico dagli occhi di gelo.
Un anno e mezzo intenso quello di Mimì speso davanti al computer per tenere informati gli amici via mail della sua vita a Roma, delle sue preoccupazioni per il non sempre facile rapporto degli animali con gli uomini, e li allieta con racconti, episodi, favole, storie di cani che frequenta a Villa Ada e nel quartiere Prati Fiscali a Roma.
Definito dall’Editor un romanzo e poi un libro di fondo . “Il libro si può, artificiosamente, suddividere in otto parti”, ha detto, fra l’altro, Silva Gurioli: “La corrispondenza telematica ci introduce verso mete molto diverse tra loro: Mimì viaggia con la mamma e il papà e con loro si reca in alcune importanti località italiane ed estere. Da questi viaggi trae spunto per narrarci delle favole, delle esperienze vissute, dei miti che fin dai tempi antichi hanno affascinato l’uomo, e che riscopre attraverso storie locali
Mimì parla con i suoi compagni il cagnese e usa l’italiano per comunicare con gli umani. Ogni racconto è arricchito da frasi in francese, in corso, in latino, in romanesco, in dialetto marradese per dare ai racconti il sapore del luogo in cui accade la storia.
Ogni racconto ha un proprio linguaggio. Il vocabolario è molto ricco e riesce a pennellare le differenze storico, culturali e ambientali dei luoghi e dei personaggi sia che si tratti di animali, di umani. Le frasi sono molto brevi. L’azione è continua. Le descrizioni sono concise ed essenziali. Dal rapido evolversi delle azioni, si può giungere ad affermare che è un testo rappresentabile come fossero moderne favole di Fedro
Come in una pellicola cinematografica i tales sono girati in Trentino: “la leggenda di Wolfy” a Roma, la benedizione del Papa a mezzogiorno degli animali in Piazza San Pietro raccontata in “Una giornata particolare”: Palmarola ispira la favola “Il pescatore e la Sirena”. La Corsica fa da quinta ai racconti “Paese che vai” ed ancora…”Inquietudini”, Enigma, La leggenda di Isabeau” come Amalfi con la sua magia è lo sfondo de “L’asino di Amalfi”. Marradi con “Veleno e “Partenza”,
Nei racconti di Mimì sono disseminate diverse figure mitologiche e riferimenti letterari come Il Gabbiano Jonathan che ricorda Jonathan Livingston di Richard Bach.
Mimì ci rende partecipi anche di quel lavoro dello scrittore che rimane sempre in ombra. Una rappresentazione letteraria paragonabile a quello che avviene dietro le quinte di un teatro nel momento in cui gli attori sono sul palcoscenico, potremmo definirlo il backstage di un romanzo: le ricerche notturne in internet a caccia di un editore interessato, le ansie, le inquietudini, le paure, le incertezze per raggiungere la pubblicazione”.

E poi tanto “Cuore” Nel cuore l’erba non ingiallisce mai. Qui sta il vero messaggio che lancia Gianna utilizzando Mimì che le è assolutamente speculare. Affidarsi al Cuore per Mimì è la chiave per colmare le difficoltà di comprensione con gli uomini per Gianna forse uno stile di vita.

Il direttore responsabile Rodolfo Ridolfi

Per una giornata americani e partigiani sono tornati a Marradi per l’inaugurazione della Mostra su Domenico Vanni

sabato 4 agosto
Alla presenza del Sindaco di Marradi, Paolo Bassetti, ha preso il via, nel Centro Culturale Dino Campana la mostra di documenti e immagini curata da Rodolfo Ridolfi , “Domenico Vanni Sovversivo per la libertà 1889-1971”. La mostra, che propone buona parte delle immagini e dei documenti raccolti dall’autore del libro su Domenico Vanni, rimarrà aperta fino all’11 agosto ed è una importante occasione, da non perdere, per approfondire aspetti inediti di cento anni di storia marradese e per immergersi nel sapore del tempo che per l’inaugurazione è stato reso più suggestivo dalla presenza di figuranti che hanno ricordato le forze alleate in campo nella seconda guerra mondiale.
Chi era Domenico Vanni? “…Di Domenico Vanni si legge in un ritaglio di giornale ingiallito, corredato dalla sua foto scattata al rientro da Mauthausen, quando pesava quaranta cinque chili: “Vecchio militante antifascista, membro del partito socialista; combatté il fascismo fin dalle prime ore e per restare fedele al suo ideale e continuare la lotta all’estero lasciò l’Italia. Il suo coraggio gli valse presto di essere alla testa di tutti i giovani partigiani di Marradi. Sfidando il pericolo compì con i suoi compagni di lotta numerose e pericolose missioni. Fu il principale protagonista del salvataggio di quattro aviatori americani, il cui apparecchio era stato abbattuto dai tedeschi, li portò nella sua macchia e li medicò. Il 25 maggio del 1944 andando a vettovagliare gli americani, salvati il 25 aprile, cadde in un’imboscata di SS e fascisti repubblicani. Poiché non volle tradire i suoi compagni fu torturato dai fascisti ma invano. Non aprì bocca e fu inviato a Villa Triste di Firenze, alle Murate e poi al campo di Mauthausen, da dove solo un prigioniero su dieci è uscito vivente. Fu infine liberato dagli alleati. Quando nacque a Biforco di Marradi, martedì 5 marzo 1889, il senatore cesenate Gaspare Finali, che morì a Marradi nel 1914 all’età di ottantacinque anni, fu nominato Ministro dei Lavori Pubblici e il trentenne ingegnere Lorenzo Fabbri, tornato nel paese dopo gli studi, realizzava la centrale idroelettrica e il Molinone, moderno mulino a cilindri per la macinazione dei cereali. Strano destino quello di Vanni, quando nasceva l’Europa assisteva all’inaugurazione della Tour Eiffel, il simbolo di Parigi, dove Domenico Vanni arriverà trentaquattro anni dopo. L’inizio del nuovo secolo, si prospettava ricco di pace ed euforia tanto da venir definito Belle Époque. Aveva quattro anni quando fu inaugurata la Ferrovia Faentina e dieci anni quando la frana di Gamberara, che rimase nella mente di tutti i marradesi per decenni, prodotta dalle corrosioni del torrente Campigno a sud di Marradi, provocò, il 15 aprile, la distruzione di parecchie case, e tre vittime.

Queste notizie è molte altre ancora si possono leggere nel libro edito dal quotidiano free news on line ed approfondire visitando la mostra aperta domenica 5 mercoledì 8 giovedì 9 e sabato 11 la mattina dalle 10 alle 12 e dalle 20 alle 22, lunedì 6 martedì 7 venerdì 10 solo la mattina dalle 10 alle 12.

Dino Campana-127° anniversario della nascita e 80° della morte- Idee e Politica

G.Bottai-P.Bargellini
domenica 15 luglio
Troppo spesso assistiamo al tentativo, spesso per motivi poco nobili, di distorcere o addirittura di rimuovere e di falsificare l’essenza del pensiero di Dino Campana così come emerge dai suoi scritti.
Proviamo allora a fare un po’ di ordine su questo straordiario uomo di cultura su questo poeta universale:
La passione con cui Campana ci lascia note, frasi, accenni, allusioni all’Italia, alla Germania, all’Europa, alla guerra, alle “razze“, alla questione nord-sud, la nettezza di certe sue prese di posizione, confermano un rapporto sottotraccia ma evidente tra letteratura e politica. Certo, quella di Campana non è una poesia con la politica per oggetto, ma letteratura che nasce dal contatto con la dimensione politica. L’ispirazione è Nietzsche attraverso le figure del “Germano” e dell’Italia che determinano la Tragedia echeggiano un “vecchio triplicismo” e implicazioni culturali patrimonio comune del decadentismo; ma questo non è che il punto di partenza, la materia di cui Campana si serve per far scattare procedimenti poetici e politici assolutamente originali. Il “Germano” non è dunque un incidente di percorso e una boutade di provincia, come sostiene Soffici. Il significato della tragedia dell’ultimo Germano in Italia e la dedica al Kaiser, è Campana stesso a spiegarla “Ora io dissi: «Die Tragedie des letzen Germanen in Italien», mostrando di avere conservato la purezza morale del Germano che è stata la causa della loro morte in Italia. Ma io dicevo ciò in senso imperialistico e idealistico non naturalistico (cercavo idealmente una patria non avendone). Il Germano preso come rappresentante del tipo morale superiore (Dante, Leopardi, Segantini). Un forte senso di appartenenza ad una comunità, più grande nei rapporti fra l’individuo e la società, il passaggio dal germanesimo al populismo patriottico, dalle figure del “germano” e del boy whitmaniano a quella del «povero italiano» emigrante, risultano quindi coerenti al sogno di una comunità di patria”.
L’Italia del Canto proletario e il “povero italiano” si accomunano così al boy e al ‘Germano” in quanto vittime di un assassinio subito: massacro, non solo simbolico, ma letterale, se si pensa al fronte e alla trincea. In quest’ottica i Canti Orfici sono anche un “piccolo libro contenente poesie patriottiche” pensando alla “patria” come ad un fine che il movimento della vita e della scrittura di Campana non riesce mai ad intercettare.
Neuro Bonifazi afferma “Dino Campana è stato guidato dalla ideologia nietzschiana, intesa come la ragione mitica alla iniziazione della vita e della poesia, ha avuto una cultura straordinaria, conosceva molte lingue e leggeva testi stranieri nella loro lingua originale. Ha, in un certo senso, messo in pratica il vangelo nietzschiano, non certo per il superuomo, ma per quella sua capacità di elevarsi idealmente verso la bellezza apollinea, nobilitarsi alla luce dell’assoluto contro tutte le viltà e le povertà del quotidiano (solo così possono spiegarsi i suoi comportamenti, gli atteggiamenti, le sue fughe, i suoi viaggi).”
I documenti ed i testi ci ricordano come il Comune di Marradi per lungo tempo sia stato oggetto di fortissime critiche per non aver fatto molto per onorare la memoria di Dino Campana. Il ministro della Cultura fascista Bottai sollecitato da Bargellini fu invece decisivo, nel 1942 per dare a Campana, dieci anni dopo la morte, una sepoltura dignitosa ed il giusto e solenne riconoscimento insieme a tutti gli uomini della cultura del tempo.
Sempre i documenti e gli atti ci confermano come negli anni ‘50 a Marradi durante i consigli comunali, ci furono addirittura dei consiglieri di sinistra che non volevano sentir parlare di Campana che consideravano non solo “E’ Mat” ma addirittura un precursore del fascismo. E quando i cittadini di Marradi lanciarono l’idea di onorare questo Dino Campana, si opposero per due anni consecutivi, cioè nel 1952 e nel 1953, allo stanziamento in bilancio di 500 mila lire per le celebrazioni. Ai soliti “idioti” di Marradi si aggiunse la Giunta provinciale amministrativa che ritenne di depennare, la posta con il pretesto che il bilancio di Marradi era deficitario.
Anche in tempi più recenti, negli anni ottanta la proposta di introdurre accanto a Marradi Campana come nuovo nome del Comune fu contestata e respinta da coloro che ritenevano più importanti le “castagne”. Quando si decise di titolare una via a Sibilla Aleramo due signore del Consiglio Comunale non esitarono a manifestare il loro dissenso “morale”, astenendosi.
Emblematiche del clima anni ‘50 sono due lettere del senatore Emilio Sereni, e del sindaco in merito all’intitolazione di una Via a Dino Campana che alla fine avvenne nel 1954 con una commemorazione del marradese prof. Sergio Zacchini al ponte di Vilanzeda “sotto una pioggia intensa ed un vento fortissimo” Ecco una lettera indirizzata all’onorevole Emilio Sereni dal sindaco, prima di prendere un simile provvedimento
“Caro Senatore,
“Ci è stato proposto da più cittadini di intitolare una via del nostro capoluogo al defunto poeta Dino Campana.
“Dino Campana era marradese e noi ben volentieri aderiremmo alla richiesta. Desideriamo però sapere da te se il valore di Campana è tale da meritare il riconoscimento. Ciò anche in rapporto al momento politico attuale.
«Grazie. Cordialmente,
f/to: II Sindaco
Il senatore comunista Sereni così rispondeva al compagno sindaco di Marradi
“Caro Compagno,
“penso che sia giusto intitolare a Dino Campana una via del vostro capoluogo.
“Dino Campana è indubbiamente un nome autorevole della poesia moderna e ormai passato alla storia della letteratura.
“Non c’è nessun riserbo politico nei sue confronti. Tanto più che la sua pazzia toglieva ogni responsabilità ad ogni sua posizione politica, né, d’altronde, ne ebbe mai dichiaratamente reazionarie.
“Sarebbe bene fare inaugurare la via ad uno scrittore toscano. Vedete di scrivere a Romano Bilenchi, a Firenze, se volesse lui parlare per l’occasione.
f/to: Sereni

Dino Campana fu un uomo spesso frainteso, la varietà e le contraddizioni delle sue prese di posizione in pochi anni (dall’ interventismo all’antibellicismo, dal germanesimo al patriottismo italiano all’accanimento filofrancese, dall’aristocraticismo al populismo) ha alimentato l’immagine di un poeta confuso sul piano delle idee, della politica e della società, tanto che più volte i suoi discorsi politici sono stati considerati dal potere e dalla cultura ad esso asservita appendici legate alla contingenza dell’epoca, da tenere ben distinte e separate dal poeta puro. Direttamente o indirettamente, l’interpretazione di Soffici, secondo cui il Germano è poco più che un incidente di percorso, ha resistito fino ai giorni nostri.
Il Germano sembra essere difficilmente digeribile per la critica più strettamente letteraria, perché costringe a travalicare i confini della letteratura. Per troppo tempo il modo di leggere Campana era quello di confinarlo nell’ambiente dell’ermetismo fiorentino e della poesia pura, privo di qualsiasi interesse per i discorsi politici. Fra i primi Gianfranco Contini, pur affermando di voler lasciare la biografia di Campana, e dunque anche i suoi gesti politici, fuori dalla valutazione della sua poesia, finisce per emettere una sentenza impropria e politica che conclude: “Questo anarchico, questo bohémien non seppe liberare l’uomo d’ordine che era in lui”. Anche Jacobbi, estimatore del Campana poeta, non gradisce la dimensione civile e politica di Dino Campana, che bolla come poco autentica, giungendo ad usare espressioni molto forti quando parla di Campana “decadente come persona e cittadino“, popolano,provinciale.La grandezza della poesia campaniana confligge con il mondo esterno ed i gesti del Campana politico, non possono essere rimossi o relegati nel mondo della Pazzia perché non sono in sintonia con la cultura egemone e dominante da troppo tempo impegnata ad accaparrarsi un grande poeta che lo vorrebbe però epurato o addirittura modificato strumentalmente a seconda degli interessi del momento. Dedicare il libro al Kaiser, a guerra cominciata, poi convertirsi a un’idea italo-francese di democrazia, sfiorare il nazionalismo è questo Dino Campana. Campana non fa poesia ideologica; ma per questo il Campana politico con le sue idee è capace di darci il sapore di un’epoca, con le sue istintive ripulse, Il continuo sfuggire, la sistematica protesta ci fa riflettere.
Se allarghiamo lo sguardo oltre i Canti Orfici, anche all’epistolario e ai frammenti sparsi o inediti, salta agli occhi una quantità di discorsi “politici”, tutti ai margini dell’opera campaniana, come il frontespizio e la dedica “germanici”; questo coacervo di considerazioni “politiche” potrebbe forse essere qualcosa di più un velleitarismo dell’individuo Campana, indicando invece un collegamento, della scrittura con una dimensione politica, più profonda e decisiva di quanto non sembri indicare. Pier Paolo Pasolini, parlava di una «sostanziale innocuità di fronte al reale che è stata strumentalizzata dalla cultura di destra», la quale si sarebbe subito impadronita di Campana:
La follia della Destra è sempre stata formale e retorica: ecco dunque un folle “vero” che faceva al caso suo. Pur con tutta la cautela del caso, dobbiamo denunciare la strumentalità dei letterati italiani tradizionali, primi fra tutti gli ermetici che hanno visto in lui l’espressione vivente e politicamente pericolosa – della aspirazione nietzscheana al superuomo interiore, spiritualista e delirante … Campana non fa della poesia “civile” o “politica”. I Canti Orfici non parlano delle cose della politica, che pure stavano trascinando l’Europa verso la catastrofe, mobilitando, oltre a masse enormi di popolazione, anche la quasi totalità del mondo intellettuale. La politica, in Campana, non è tanto il contenuto della poesia, ma nemmeno soltanto un contesto che la colpisce di riflesso. C’è, con buona pace di chi non gradisce, tutta una tradizione illustre di poesia civile italiana, che dalle origini era giunta fino al tempo di Campana, passando per la mediazione classicistica di Carducci e le esperienze più decadenti di Pascoli (populismo contadino) e D’Annunzio (estetismo della politica); perfino i futuristi vi si riallacciavano, proponendo una poesia che aveva la politica e gli eventi storici tra i suoi oggetti più frequentati (una poesia civile sui generis, certo, e d’assalto, ma che raccoglieva e rilanciava l’eloquenza e la retorica tipiche della tradizione italiana: una poesia che pretendeva di farsi portavoce e sprone dei destini della nazione; non a caso Marinetti scrisse anche il testo del Movimento politico futurista e un Manifesto del partito politico futurista).Campana si mantiene al confine di questa linea tuttavia in questa direzione si deve leggere la poesia A Mario Novaro.

Rodolfo Ridolfi