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Grandi risultati per la politica ambientale dell’Amministrazione di Paolo Bassetti. La soddisfazione dell’assessore Silva Gurioli per il balzo in avanti della raccolta differenziata.

Il Sindaco Paolo Bassetti e l'Assessore Silva Gurioli
venerdì 5 ottobre
L’ottima politica ambientale dell’amministrazione di Paolo Bassetti dopo i rilevanti successi conseguiti nell’ambito delle energie alternative si conferma nei dati straordinari della raccolta differenziata che ha fatto un consistente balzo in avanti grazie alla realizzazione dell’isola ecologica fortemente voluta e realizzata grazie all’impegno del Sindaco e dell’assessore all’ambiente Silva Gurioli Pubblichiamo molto volentieri la nota pervenutaci dall’Ufficio Stampa del Comune in occasione delle visite dei bambini delle scuole alla modernissima Stazione Ecologica di Marradi :

Balzo in avanti nella raccolta differenziata a Marradi. Nei primi 7 mesi di quest’anno si è attestata al 36,1% a fronte del 28,5% relativo allo stesso periodo del 2011. Il totale di rifiuti è sceso da 776 tonnellate a 690 mentre la raccolta differenziata è salita da 309 a 389 tonnellate. E un deciso impulso nella crescita lo ha dato la stazione ecologica, dove si possono conferire per essere avviate a recupero e riciclo varie tipologie di rifiuti come carta e cartone, vetro, plastica e lattine, rifiuti legnosi arredi ed ingombranti, rifiuti verdi, farmaci e pile scaduti, oli alimentari, bombolette spry, inerti da piccole demolizioni, piccoli e grandi elettrodomestici.

Soddisfazione è espressa dall’assessore all’Ambiente Silva Gurioli: “Sono dati positivi: il buon risultato è dovuto ad una costante informazione e comunicazione ai cittadini che si dimostrano attenti al rispetto dell’ambiente”. E anche per il sindaco Paolo Bassetti: “Sono dati soddisfacenti e confortanti – afferma -, abbiamo imboccato la strada giusta. Grazie all’attivazione della stazione ecologica abbiamo fatto un deciso passo avanti nell’aumentare la raccolta differenziata, con un riscontro positivo da parte dei cittadini. Vogliamo continuare a crescere e a incentivare la raccolta differenziata e per farlo – aggiunge – servono occasioni di informazione come quelle organizzate con le scuole alla stazione ecologica, perché i bambini possono dare una grossa mano in famiglia nel trasmettere un corretto comportamento”. Alla stazione ecologica martedì prossimo, 9 ottobre, dopo la visita per 106 bambini di 5 classi delle elementari, “lezione” di raccolta differenziata per 75 alunni delle medie, e anche a loro sarà consegnato il ‘rifiutologo’, una piccola guida per diventare “esperto di rifiuti”, per sapere cioè come fare, rifiuto per rifiuto, la raccolta differenziata.

ufficio stampa

johnny tagliaferri

E’ il mese del marrone, e Marradi fa festa… anzi sagra-Per 4 domeniche in paese la tradizionale manifestazione.

scatola di marrons glacès dipinta da Francesco Galeotti
giovedì 4 ottobre

Tortelli, marmellate e torta di marroni, castagnaccio, marrons glacés, “bruciate”… Da domenica 7 ottobre (e nelle tre domeniche successive, 14, 21 e 28) Marradi è in festa con la 49° edizione della “Sagra delle castagne”, una manifestazione che negli anni ha saputo affermarsi come prestigiosa e qualificata vetrina del Marrone del Mugello IGP e i suoi derivati, fra cui farina, biscotti, confetture, torta di marroni e marron glaces, caldarroste, birra e tanto altro ancora.

“Rispetto agli scorsi anni la produzione è ridotta – commenta il sidaco di Marradi Paolo Bassetti, sia a causa degli attacchi del cinipide che stiamo combattendo con la diffusione del suo insetto antagonista, sia per la siccità estiva che ha rallentato la maturazione. Ci vorranno degli anni per recuperare i danni derivati dalla presenza del cinipide e riportare un equilibrio della produzione nei castagneti, per questo l’Unione montana dei Comuni del Mugello, Camera di Commercio e l’Unione dei Comuni della Valdisieve hanno promosso un disciplinare rivolto ai castanicoltori per gestire informati la situazione. Comunque – tranquillizza il sindaco Bassetti -, chi verrà a Marradi nelle domeniche di sagra non si preoccupi, quello che troverà è il marrone di casa nostra”.

Allestiti lungo le vie del paese, stand di degustazione e vendita di specialità gastronomiche, prodotti del bosco e sottobosco, oltre che di prodotti artigianali e commerciali. Le domeniche saranno, poi, animate da artisti di strada e musicisti itineranti, spettacoli di musica e varietà con la presenza di attrazioni per bambini, oltre ad uno spettacolo di illusionismo.

Domenica 14 ottobre si rinnova l’amicizia tra Marradi e la città gemellata di Castelnaudary con la presenza di uno stand dedicato alla gastronomia francese, con prodotti tipici del Languedoc Roussilion.

E, come sempre, si potrà raggiungere Marradi a bordo del caratteristico treno a vapore in partenza da Firenze. Per info: Pro Loco Marradi, tel. 055.8045170 www.sagradellecastagne.it

ufficio stampa

johnny tagliaferri

www.marradibiblioteca.com-“ 7 ottobre 1571 la vittoria di Lepanto ricordiamo una data storica fondamentale per l’occidente libero”

mercoledì 3 ottobre

All’alba del 7 ottobre 1571, esattamente quattrocentoquarantun anni fa, aveva inizio, nelle acque di Lepanto, porto della costa ionica, situato di fronte al Peloponneso e non distante da Corfù, una delle più grandi battaglie navali della storia, frutto glorioso degli sforzi della Cristianità. Ci sembra importante ricordarne l’anniversario, e ricordarlo nel modo più serio in questi anni in cui si riaffaccia prepotente ed aggressivo in occidente l’aggressione violenta e terroristica del fondamentalismo islamico. Lepanto fu una grande vittorie dell’Occidente, una vittoria della Cristianità. Una vittoria contro un mondo di volta in volta arabo,musulmano, islamico ferocemente aggressivo. Un mondo però che ogni volta, e proprio nel cuore dell’Europa, si è infranto contro il valore degli Europei, decisi a non cedere la propria terra le proprie radici, a non lasciare annientare la propria cultura e civiltà fino all’estremo sacrificio. Un’epoca nella quale la Cristianità non confondeva ancora la carità, con una solidarietà che ne è oggi la caricatura: spesso alibi per chi è disposto a sacrificare la propria civiltà per un egoistico bisogno di apparir buono a sé stesso. A Lepanto e poi a Vienna, l’Europa difendeva il suo modello di civiltà. Sì, ma difendeva anche, le sue chiese e le sue istituzioni. Oggi di fronte all’aggressione del fondamentalismo islamico, la nuova flotta islamica, gran parte dell’occidente sembra aver perso ogni riferimento all’orgoglio di appartenere ad un mondo libero. l’Islam, oggi come oggi, è forte perché ha più valori di noi.
La guerra era stata dichiarata a Venezia dai Turchi all’inizio dell’anno precedente: ma all’intimazione di abbandonare Cipro, la Serenissima aveva risposto con un netto rifiuto. La resistenza veneziana, sotto il comando di Nicolò Dandolo, fu tenace, ma non fu possibile evitare lo sbarco e, nonostante le fortificazioni di Nicosia, ancora oggi visibili, fossero appena state innalzate, e la lunga ed eroica difesa sostenuta soprattutto da Romagnoli, la città fu presa il 9 settembre 1570. Le navi cristiane si riunirono a Messina. Erano 208 galere, vale a dire vascelli a remi e a vela armati con artiglieria pesante sulla piattaforma anteriore e leggera sui fianchi. Il grosso della flotta era costituito dalla squadra veneziana: 105 vascelli; quindi la squadra di Filippo II Re di Spagna, comandata da Gian Andrea Doria, con 81 navi di cui 14 spagnole; la squadra pontificia schierava 12 navi. Tre navi erano genovesi, tre dei Cavalieri di Malta e tre addirittura del Ducato di Savoia. Comandante generale era Don Giovanni d’Austria, fratello del Re di Spagna. Anche ai tempi di Lepanto, anno 1571, la pace era un sentimento condiviso da tutti, Però nessuno era pacifista. Ovvero l’umanità aspirava alla pace essendo consapevole che in certi casi la guerra non solo risulta ineluttabile, ma spesso necessaria, auspicabile addirittura. Allora, poi, nessuno che appartenesse al mondo occidentale cristiano avrebbe parteggiato per un Alì Muedhdhin Zadeh Pascia, l’ammiraglio della flotta ottomana o per un Mehmed Alì che guidò la presa di Otranto o per il Feroce Saladino. Affinché Don Giovanni D’Austria, Marcantonio Colonna, Gian Andrea Doria cogliessero la vittoria si pregava nelle case e nelle chiese. Non c’era chi manifestasse contro di loro nelle piazze, chi giudicasse quella guerra ingiusta, chi invocasse il dialogo con gli ottomani. Perché gli ottomani, gli islamici, erano il nemico. Nemico individuale e nemico di una civiltà, di una cultura, di una fede che era la civiltà, la cultura e la fede dell’Occidente. Nemico aggressivo, che non aveva il bisogno d’esser provocato per manifestare la sua inimicizia. Tutto ciò che non è Islam -«Dar al Islam»- è per l’Islam e per gli islamici «Dar al Harb», luogo della guerra. Se l’Occidente non avesse coltivato la «virtude» di opporsi loro anche con le armi, soprattutto con le armi, probabilmente San Pietro sarebbe una moschea e il campanile di San Marco un minareto da dove il muezzin esorta a pregare Allah. Lepanto si limitò a far tirare il fiato alla cristianità e a momentaneamente ripulire il Mediterraneo dagli sciami di vascelli islamici che lo infestavano. Ma a Kalhenberg, nei pressi di Vienna, poco più di un secolo dopo l’Occidente arrestò e per sempre la travolgente corsa in avanti dell’Islam. Se i viennesi non avessero retto all’assedio, se Innocenzo XI avesse predicato la pace invece di promuovere la coalizione cristiana, se il 2 settembre del 1683 i 65mila del polacco Giovanni Sobieski non avessero travolto i 200 mila ottomani di Kara Mustafà, Vienna sarebbe caduta e con Vienna, la nostra civiltà perché nulla avrebbe più potuto fermare la progressiva islamizzazione del continente. Dovremmo oggi dopo le Torri gemelle, Madrid e Londra, l’Iraq e l’Afganistan, la Siria e Bengasi e le ricorrenti stragi di donne, bambini e preti cristiani, rammaricarci che per impedire tutto ciò si sia combattuta una guerra? C’è forse qualcuno che ritiene che Papa Odescalchi invece di incrociare le armi avrebbe dovuto dialogare con Maometto V? O «aprire» un tavolo? Sobieski o Eugenio di Savoia avrebbero dovuto guidare una missione umanitaria piuttosto che attaccare gli assedianti? Magari attenendosi pedantemente alle «regole di ingaggio», oggi tanto di moda? Ma soprattutto, crediamo che il dialogo, i tavoli, la predicazione della pace, le missioni umanitarie avrebbero fermato la spinta espansionista dell’Islam, la sua guerra non a caso definita «santa»?

Dopo la vittoria di Lepanto, avvenuta proprio nella prima domenica di ottobre (7 ottobre 1571) che già da tempo costituiva il giorno di raduno e di preghiera delle confraternite del Rosario, san Pio V che, dicono le cronache, era già sicuro della vittoria prima ancora di averne ricevuto notizia, decretò che ogni prima domenica di ottobre si sarebbe dovuta commemorare con rito semplice Nostra Signora della Vittoria. Attualmente il 7 ottobre si celebra una memoria semplice intitolata alla Beata Maria Vergine del Rosario. Nelle litanie lauretane Maria è invocata come «Auxilium christianorum» a partire dalla vittoria di Lepanto. Certamente, la vittoria era stata ottenuta grazie a “la intelligentissima prudentia de i nostri generali, la bravura e destrezza de i capitani in mandare ad effetto, il valore de’ gentiluomini e soldati nell’essequire”. Ma, più ancora, a ben altre forze, secondo la bella espressione del senato veneto: “Non virtus, non arma, non duces, sed Maria Rosarii victores nos fecit”, “non il valore, non le armi, non i condottieri ma la Madonna del Rosario ci ha fatto vincitori”. Del resto, la vittoria di Lepanto era avvenuta nel giorno in cui le confraternite del Rosario facevano tradizionalmente particolari devozioni.

Rodolfo Ridolfi

Dino Campana torna il 5 ottobre in teatro a Ravenna, la città che nel 1904 lo ha visto militare nel plotone allievi Ufficiali (di complemento.ndr) del 40° Reggimento Fanteria

Oscar De Summa, Riccardo Monopoli, Pape Gurioli e Federica Balucani
Marradi Lunedì 1 ottobre
Nel libro di Enrico Gurioli ” Barche Amorrate. Dino Campana, la vita i canti marini e i misteri orfici” si legge: “Il Lamone è il fiume di Dino Campana. Sgorga dai monti della Colla di Casaglia, nell’Appennino dell’Alto Mugello in provincia di Firenze; attraversa Marradi, per arrivare a Faenza dove a fine ottocento il fiume offriva le sue acque al Nuovo Naviglio, un canale navigabile che arrivava al Po per poi raggiungere e confondersi con le acque dell’Adriatico. Il fiume invece superata Faenza continua il corso nel suo alveo, passa poi nelle campagne tra Russi e Bagnacavallo per terminare in una cassa di colmata presso Ravenna; è messo in comunicazione col mare presso Porto Corsini. Sono i luoghi della trafila garibaldina, dei fiumaioli, dei capanni da pesca, dei mulini, dei fiocinini in un paesaggio di pianura portato al mare da una costa bassa senza insenature, in continuo movimento per l’incessante apporto dei fiumi. In quei luoghi, malsani, su un antico approdo di poveri pescatori era stato costruito nel XVIII secolo un nuovo canale: il Candiano. Era il porto di Ravenna, “il solo a cui possa metter capo ogni strada di comunicazione tra il Granducato di Toscana e questa parte dello Stato Pontificio” scriveva Il Giornale Toscano nel 1836 e il mare ritornava nella città romagnola con la nuova darsena. Lungo la costa la Società Balnearia aveva impiantato fin dal 1876 sulla spiaggia uno “stabilimento balneario” per la talassoterapia, meta di numerosi “bagnanti” non solo ravennati mentre un moderno vaporino faceva il servizio di trasporto di costoro lungo il Candiano per sbarcarli poi a Porto Corsini. La strada di alaggio che arrivava al mare per i ravennati era diventata “la più bella strada del mondo” e meta di un pellegrinaggio nei giorni di festa con la gente che arrivava a piedi, in bicicletta o in carrozza fino al nuovissimo faro, testimone, a sua insaputa, di un nuovo interesse per lo sviluppo del porto canale da parte dei Savoia negli anni successivi all’unificazione nazionale. L’Adriatico o meglio ancora il Golfo di Venezia stava diventando un tratto di mare strategico per le flotte degli Stati Europei; la darsena di Ravenna era l’approdo più vicino alle basi navali dell’impero Austroungarico sulla costa orientale adriatica. A Porto Corsini, vicino alla città di Ravenna, accanto ai trabaccoli da pesca, ai lancioni da trasporto, ai bragozzi da lavoro cominciarono ad arrivare anche le prime torpediniere sommergibili, gli idrovolanti e le prime industrie. Ravenna da pigra città agricola si stava trasformando in un porto dell’Adriatico; rappresentava un altro aspetto della modernizzazione di quelle zone rurali al confine con le terre di Faenza frequentate dal liceale Dino Campana. “Ascolto i discorsi. La vita ha qui un forte senso naturalistico. Come in Spagna. Felicità di vivere in un paese senza filosofia. Il museo. Ribera e Baccarini. Nel corpo dell’antico palazzo rosso affocato nel meriggio sordo l’ombra cova sulla rozza parete delle nude stampe scheletriche. Durer, Ribera. Ribera: il passo di danza del satiro aguzzo su Sileno osceno briaco. L’eco dei secchi accordi chiaramente rifluente nell’ombra che è sorda. Ragazzine alla marinara, le liscie gambe lattee che passano a scatti strisciando spinte da un vago prurito bianco.” Il mare, il porto canale, le atmosfere che sanno di salsedine,le ragazzine alla marinara, le vele e le barche, l’odor di catrame e di stoppe, la darsena con i barconi erano a poco meno di una settantina di chilometri dal paese di Marradi. Il borgo si estende e si sviluppa attorno a un ponte sul fiume Lamone, segnando di fatto il confine fra la Romagna e la Toscana. Fino all’Unità d’Italia aveva rappresentato per molte famiglie anticlericali romagnole un luogo di sicuro rifugio dalla passatista e un po’ malinconica Romagna amministrata dallo Stato Pontificio. Esisteva un rapporto intenso fra questo lembo di terra di Toscana e la gente della Romagna; lungo il Lamone, percorso dalla nuova ferrovia si sviluppavano nuovi mercati e commerci in grado di sostituire il fiorente traffico di contrabbando esistente da sempre fra lo Stato Pontificio e le terre dei Lorena. () Da Ravenna invece il milite Dino Campana fu rispedito a casa il 4 agosto del 1904, soltanto dopo otto mesi di permanenza. “ Cessò dalla qualità di allievo ufficiale per non avere superato gli esami al grado di sergente” e come citava il foglio matricolare “Prosciolto dal servizio per applicazione dell’art. 353 dell’istruzione complementare al regolamento sul reclutamento.” Si trattava di una esclusione dalla carriera militare dovuta probabilmente da una ambigua moralità che mal si conciliava con un futuro di sottotenente. Invece era pronto “a salpar per l’orizzonte azzurro”! Deciso a scegliere i luoghi in cui continuare la sua ricerca di “un mattino ardente” dove far svegliare la sua anima nel sole “libera e fremente”: di frequentare da solo l’arte nelle biblioteche, nei musei, nelle pinacoteche, la gente di mare del ponente italiano fino al Mar Ligure. Un amico, studente di medicina dell’Università di Bologna , trovò con meraviglia Dino Campana non ancora maggiorenne a Genova nella zona dell’angiporto. “Tra le venditrici uguali a statue, porgenti / Frutti di mare con rauche grida/ Su la bilancia immota.…” Alla sua domanda se sarebbe tornato a Bologna Campana gli aveva risposto: “Bologna! Città di beghine e di ruffiani, mai un omicidio, mai un fatto di sangue!”Era il provocatorio commiato da un tipo di mondo e dagli studi universitari.”
Le barche lasciate abbandonate nella risacca del porto, senza ormeggio,sono le “Barche Amorrate” di Dino Campana e vanno in scena il 5 ottobre al Teatro Socjale di Piangipane con una piece teatrale voluta e presentata dal Gruppo Ormeggiatori del Porto di Ravenna per celebrare il 20° anniversario della loro costituzione in Società cooperativa. Dice il ravennate Cesare Guidi, Presidente Nazionale degli Ormeggiatori “ Il mare è lavoro, il mare è sacrificio, il mare è passione, il mare è amore, il mare è arte e come portuali ci è sembrato coerente favorire questa operazione culturale tratta dal libro di Enrico Gurioli, Barche Amorrate. Dino Campana, i canti marini e i misteri orfici, dopo aver visto in anteprima la piece al porto di Livorno nel maggio 2012”. Dino Campana viene “riscoperto” dai portuali italiani in questa sua visione del mare. Enrico Gurioli, che ha curato la messa in scena e la regia, ha raccontato l’esistenza di un Dino Campana che vive nelle stive delle navi, fra le banchine dei porti svelando, come nel libro edito da Pendragon, il significato oscuro di “barche amorrate”. Un termine rimasto per oltre ottant’anni sconosciuto ai glottologi di tutto il mondo. Quello raccontato al Teatro Socjale di Piangipane è il mare dei porti di Ravenna, Livorno e Genova; dei bassifondi de La Boca a Buenos Aires dove si parla il lunfard. La lingua dei tangueiros. Sono le atmosfere poetiche degli angiporti, delle enormi prostitute, dei gatti e del profumo di stoccafisso. Delle navi che salpano verso un nuovo mondo. Sono ambienti di una poesia nuova e marina nella quale si amalgamano i suoni amplificati dalla radio marconiana con i colori e la musica in potenti bagliori degli orizzonti azzurri. La piece è interpretata da Oscar De Summa, Riccardo Monopoli, Pape Gurioli e Federica Balucani seguendo le scansioni ritmiche e musicali della poesia campaniana