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L’Antico Ospedale “San Francesco” a Marradi eretto “..per la pietà specialmente dell’illustre concittadino Angiolo Fabroni”

giovedì 6 settembre
Sulla storia dell’Ospedale di San Francesco le fonti non sono numerosissime e prevalentemente sono riconducibili alla documentazione rimasta, non ultima la data certa della sua fondazione. Il documento più vecchio data infatti 1819. Da alcuni brani dello Statuto originale contenuti nel fascicolo “Progetto di Statuto Organico per l’autonomia dello Spedale”.si legge “L’Ospedale di Marradi eretto per la pietà specialmente dell’illustre concittadino Angiolo Fabroni con Sovrano Rescritto del 21 dicembre 1795 porta il nome di San Francesco. Ha per iscopo di accogliere tanto i malati acuti che i cronici, come pure gli affetti da contagio, che saranno segregati colle debite cautele dagli altri degenti [..]”.
In seguito i cronici non vennero più ammessi: “Si riceverà nello Spedale di San Francesco di Marradi quel numero di malati dell’uno e dell’altro sesso, che sarà di tempo in tempo compatibile con le forze ed assegnamenti del Luogo Pio, da fissarsi annualmente dall’ Imperiale e Regia Deputazione Centrale dietro il resultato dei bilancj di previsione, ben inteso però che sieno eccettuati i malati cronici e quelli
affetti da malattie cutanee”.
L’Ospedale aveva come missione principale l’accoglienza gratuita dei soli cittadini di Marradi, anche se accettava come pazienti anche gli “estranei al comune, che trovandosi di passaggio o temporaneamente vi si ammalassero, salvo il rimborso della spesa” e i militari, ai quali vennero in seguito equiparati tutti i dipendenti statali, a retta giornaliera. Anche i marradesi non indigenti potevano essere ammessi previo pagamento di una retta o della metà dell’importo in base a due fasce di reddito certificate dal Sindaco. L’amministrazione venne da subito affidata alla locale Congregazione di Carità che “sovraintende al regolare andamento e delibera in tutti gli atti e contratti che interessano il Pio Stabilimento, adotta le misure opportune pel buon andamento del servizio e risolve le questioni che si presentano nei casi speciali”. istituita: 1) Per amministrare gli istituti ed i beni che le sono confidati per erogarne le rendite e le oblazioni secondo le norme stabilite dalla legge, dagli statuti, dalle tavole di fondazione o dalla volontà degli oblatori. 2) Per esercitare i doveri di patrocinio e di assistenza verso i poveri, col promuovere i provvedimenti
diretti a fornire, con la nomina di un tutore o curatore, di rappresentanza legale i derelitti che ne siano privi, col procurare loro assistenza e provvedere ai loro bisogni in caso d’urgenza”.

La Congregazione si componeva di un Presidente e otto membri, tutti senza assegnamento, che rimanevano in carica per quattro anni, e non potevano essere rieletti per più di una volta consecutivamente. Loro compito principale, oltre all’amministrazione dei propri beni e rendite, era quello di provvedere all’amministrazione dei vari Istituti cui faceva capo, promuovendo al bisogno la modificazione dei loro Statuti e Regolamenti, e procedendo all’erogazione delle rendite e delle oblazioni secondo le volontà dei donatori. Inoltre, tramite un proprio rappresentante, la Congregazione partecipava alla stipulazione degli atti pubblici. Il Presidente aveva poi alcuni incarichi specifici fra i quali quelli di presiedere e dirigere le adunanze, curare l’esecuzione delle deliberazioni, dirigere la corrispondenza ufficiale, curare la regolare tenuta degli inventari e dei registri e rappresentare la Congregazione nelle cause.Provvedeva inoltre a far rispettare l’osservanza delle leggi e dei regolamenti degli istituti amministrati, procedendo alle verifiche di cassa ed alla compilazione dei relativi verbali. Responsabile unico del Pio Luogo di Cura era un Presidente, detto anche Rettore, (una sorta di direttore generale, amministratore delegato) senza stipendio che, dal 1825, veniva scelto e nominato dal Granduca all’interno di una terna di nomi presentata dal Magistrato Comunitativo. Secondo il “Regolamento provvisorio del 1825 Il Rettore provvedeva alla redazione dei registri dei malati, aveva la responsabilità delle locazioni, la sorveglianza sull’operato dei medici e la provvista dei materiali all’ingrosso. A lui spettavano inoltre il compito di tenere in consegna, mediante opportuno inventario annuale, biancheria, mobili, armamentario chirurgico e ogni altra cosa di pertinenza dell’Ospedale o di uso dei malati e la custodia dell’archivio. Sull’operato del Rettore aveva funzioni di controllo il Magistrato Comunitativo, cui spettava il compito di creare censi e vendere o affittare immobili. Il Gonfaloniere del Comune, valendosi delle facoltà accordategli dalla legge del 16 febbraio 1816, poteva, a sua discrezione, prendere cognizione dello Stato dell’amministrazione e del servizio sanitario. Il Rettore era assistito e coadiuvato da uno scrivano che aveva il compito di redigere le scritture contabili, annualmente trasmesse alla Deputazione Centrale per l’approvazione e dal Camarlingo Comunitativo che svolgeva il ruolo di cassiere dell’Ospedale e che aveva anche il compito di effettuare tutti i pagamenti dietro presentazione dei mandati, rilasciati dallo scrivano. Al Rettore spettava infine anche la nomina del custode, che doveva essere “ammogliato e tanto esso che la moglie, i quali si sceglieranno di un’età matura, dovranno essere animati dal più puro spirito di religione, carità, onestà, attenzione e buona volontà nel disimpegno delle loro funzioni”. Il custode e la moglie, eseguendo fedelmente le prescrizioni del Rettore, avevano il compito di provvedere all’occorrente per i malati, prestare il servizio di cuochi, provvedere alla biancheria, alla legna, al carbone e pulire le stanze dell’Ospedale. In seguito essi furono affiancati da cinque inservienti, addetti alla cucina ed al bucato, da un barbiere e da un becchino. Le necessità spirituali dei ricoverati e dei moribondi venivano adempite da due sacerdoti cui spettava anche la celebrazione delle funzioni funebri. Vi erano infine due medici e un chirurgo (o direttore sanitario), originari di Marradi, che non solo dovevano verificare, tramite i certificati presentati, che “la qualità delle malattie” di chi chiedeva di essere ricoverato fosse ammissibile, ma soprattutto erano tenuti a prestare ai malati l’assistenza necessaria visitandoli due volte il giorno, prescrivendo le cure e controllando la qualità del vitto e dei medicinali. Erano inoltre di loro esclusiva competenza la decisione di dimettere i pazienti ritenuti guariti o incurabili e l’aggiornamento della vacchetta delle diete. I medicinali prescritti venivano provvisti da una o più farmacie, fra le più fornite del comune, e annotati su una speciale vacchetta. Annesso all’Ospedale si trovava un “Ricovero di mendicità” dove venivano ospitati alcuni vecchi inabili al lavoro, che dovevano essere esclusivamente di sesso maschile e in numero non maggiore di sei. Il patrimonio di tale ricovero, voluto da Francesco Fabroni Bassani, veniva amministrato separatamente.

Bibliografia: Archivio dell’Ospedale San Francesco a Marradi 1795-1943
A cura di Ilaria Pagliai

Hera soccombe nella causa contro Panorama- Brunetta- Ridolfi- Pamparana e Stracquadanio di fronte al Tribunale di Milano “Volevano condannarci al silenzio con i soldi degli utenti, sono stati condannati ma faranno finta di nulla”

“Volevano condannarci al silenzio con i soldi degli utenti, sono stati condannati ma faranno finta di nulla” Nel mio libro
mercoledì 5 settembre
Nel libro “Le Coop Rosse il più grande conflitto di interessi dell’Italia del dopoguerra” a cura di Vittorio Feltri e Renato Brunetta con i contributi di Davide Giacalone e Tino Oldani, del 2007, al capitolo VI Hera Spa: il nuovo modello del capitalismo in rosso, affermo fra l’altro: “ Numerosi politici, studiosi e giornalisti, da anni denunciano come il sistema delle partecipazioni locali rappresenti un vero e proprio freno alle autentiche liberalizzazione dei servizi, configurando di fatto un monopolio ed un blocco alla libera concorrenza. Questo fenomeno è diffuso a tal punto da provocare un forte dissenso che si esprime da tempo con numerose iniziative di cittadini e associazioni dei consumatori, con interpellanze e interrogazioni nel Parlamento, nella Regione Emilia-Romagna, nei Comuni e nelle Province dove opera Hera Spa”. Molti episodi accaduti dopo la pubblicazione del libro hanno continuato a confermare e rafforzare quanto già ampiamente dimostrato” Dai 22 milioni di euro di multa dovuti da Hera spa al fisco, a causa dell’ingiunzione dell’Ue per le agevolazioni concesse nel triennio 1996/99, risultato dell’assoluta incapacità dei sindaci dei Comuni soci, che hanno accettato passivamente il ruolo di essere telecomandati per inseguire il business su servizi essenziali”. “ Già dieci anni orsono, quando la Consob nel 2002 lanciava i suoi segnali di avvertimento, era chiaro che sarebbe finita esattamente come sta finendo: con un danno di proporzioni gigantesche per le tasche dei cittadini, costretti a pagare per l’insipienza dei loro primi cittadini e la spregiudicatezza di consulenti e dirigenti di Hera, per di più profumatamente pagati”. Ho sempre sostenuto che una certa sinistra ha per lungo tempo giocato in borsa con i soldi dei cittadini e che gli intrecci giunte rosse, coop rosse, multiutility rosse sono sotto gli occhi di tutti ma pochi hanno avuto il coraggio di denunciare questa distorsione del nostro sistema economico ed istituzionale. Insieme a Renato Brunetta, Andrea Pamparana e Giorgio Stracquadanio per primi ce ne siamo fatti carico nel febbraio 2006 con la pubblicazione, uscita con Panorama “Documenti di Panorama” “Il Capitalismo in rosso indagine sulle coop dai valori alle speculazioni” Hera ha tentato di fermare questa operazione di “verità e di trasparenza” trascinando noi e Panorama, allora diretto dal compianto Pietro Calabrese in giudizio per sentirci dichiarare responsabili in solido e vederci condannati come diffamatori nei confronti di Hera e, comunque per aver leso la sua immagine imprenditoriale, al risarcimento di tutti i danni materiali e morali subiti, nonché dell’ulteriore danno previsto dall’art. 12 L. n. 47/1948, da liquidarsi nella misura di €. 550.000,00 ed alla pubblicazione a nostre spese della sentenza o di un estratto della stessa sui quotidiani “La Voce di Rimini” e il “Corriere della Sera”, nonché sulla rivista “Panorama”. Il tribunale di Milano con sentenza del 9 agosto 2012 ha rigettato la pretesa di Hera condannandola a rimborsare alla parte convenuta, mirabilmente rappresentata dagli avvocati Antonello Martinez e Alberto Carlo Merlo le spese di lite, che ha liquidato d’ufficio in € 1.000,00 e € 20,000,00 per compensi, oltre i.v.a. e c.p.a. A queste cifre vanno aggiunti gli onorari che Hera dovrà sborsare agli avvocati Giuseppe Gullo, Gianluigi Serafini e Filippo Sgubbi. Sappiamo che chi ha preso quella decisione politica non pagherà un solo euro che graveranno invece sulle tasche nostre e sulle nostre bollette, come è accaduto sempre per le multe fiscali e quant’altro comminate ad Hera. Molto di quanto contenuto nel successivo libro “Le coop rosse” del 2007, per la verità con qualche anno di ritardo è stato ed è ancor oggi all’attenzione della magistratura come nel caso di…. E di Terre emerse. Per quanto riguarda Hera sarebbe corretto che, finalmente, in un soprassalto di dignità i sindaci dei Comuni soci, per rispetto ai cittadini, facessero valere la maggioranza delle quote azionarie per convocare l’assemblea di Hera spa e per chiedere che almeno i 21 mila euro che la multyutility è stata condannata a pagare e gli onorari degli avvocati fossero addebitati ai consulenti e ai dirigenti, diretti responsabili della incauta ed ingiustificata causa. Hera in omaggio alla trasparenza dovuta a tutti gli utenti dovrebbe anche pubblicare un estratto della sentenza sulla Voce di Romagna, Sul Corriere della Sera e su Panorama. L’amministratore delegato ed il presidente se non fossero così pervicacemente incollati alla poltrona dovrebbero liberare le Istituzioni dalla loro imbarazzante presenza, ma così non sarà e noi dovremo consolarci con il diritto di opinione e di parola, che questa volta non sono riusciti a ledere e a limitare, affermando “ Bei compagni alle coop e ad Hera!”

Rodolfo Ridolfi

La Faentina rimane tra le peggiori linee della Toscana. Aveva ragione Zagar, altro che Ceccobao!

domenica 2 settembre
Ricordate “Fuori dal Tunnel” la verità è che il PD della Toscana, del Mugello, di Borgo e di Marradi, come abbiamo sostenuto in tempi non sospetti, non riesce a togliere un ragno da un buco. “Lo supponevo” diceva Zagar il personaggio dei fumetti esperto in travestimenti (da conte, da alpino, da canguro e da struzzo, da strisce pedonali), creato da Benito Jacovitti, il grande fumettista fiorentino di adozione che collaborò al settimanale Il Vittorioso dell’editrice cattolica AVE, che l’avrebbe fatto conoscere a tutta l’Italia dal 1940 fino al 1969. Zagar ci è tornato alla mente quando abbiamo letto, sul foglio mugellano “il galletto” del 1 settembre, l’articolo di Massimo Rossi “Borgo-Trenitalia smentisce Bettarini-La Faentina rimane tra le peggiori linee della Toscana”. In quell’articolo Rossi, come ha sempre fatto puntualmente ed impietosamente, denuncia le inadempienze, i Minuetto promessi e mai arrivati, gli annunci smentiti dai fatti, la soppressione dei treni col benestare della Regione, i ritardi esagerati, che hanno sfasciato completamente l’orario cadenzato delle partenze ogni ora, cioè il tanto sbandierato Memorandum ed i continui disservizi. Bettarini, sindaco di Borgo, Ceccobao ed i loro sodali, dislocati nelle varie località attraversate dalla Faentina da Borgo a Marradi, da Brisighella a Faenza, continuano ad essere smentiti da Trenitalia e dai fatti e se la prendono con chi, come “il galletto”, racconta le verità: “Fatti, purtroppo, dati e numeri resi direttamente da Trenitalia”, non le parole in stantio politichese delle feste del PD che imbarazzano i campioni di “Fuori dal Tunnel”. A Massimo Rossi il nostro quotidiano on line esprime apprezzamento e solidarietà ed ai dirigenti del PD, come farebbe Zagar, suggerisce di cambiare il titolo della prossima propagandistica ed inutile iniziativa sulla Faentina, dal presuntuoso e clamoroso autogol “Fuori dal Tunnel” in un più realistico titolo “Scusateci non abbiamo levato un ragno da un buco ”.

Rodolfo Ridolfi

Il talentuoso pittore Massimo Barzagli al museo Pecci di Prato con “Grandezza naturale” dal 29 settembre al 2 dicembre

Opera di Massimo Barzagli

domenica 2 settembre
Se il nuovo “Pecci 2” sta crescendo, nel “vecchio” museo Pecci si lavora in vista della ripresa dell’attività autunnale, curata dal direttore artistico Marco Bazzini e dal vice Stefano Pezzato. Il Centro per l’arte contemporanea Luigi Pecci, in continuità con la serie di mostre personali dedicate agli artisti nati negli anni Sessanta, presenta come primo vero grande evento culturale la prima mostra personale in un museo di Massimo Barzagli, il talentuoso pittore marradese di nascita e pratese di adozione ( vive e lavora a Prato dal 1986) che il 29 settembre, inaugura con ” Grandezza naturale”, una vasta personale delle installazioni realizzate dagli anni 90 fino ad oggi che rimarrà aperta fino al 2 dicembre. Massimo Barzagli è conosciuto ed apprezzato non solo in Italia ma in Europa e negli stati Uniti- Di Massimo Barzagli, tra le molte mostre personali, quelle collettive e le perfomances, si ricordano quelle del 1990, 1996 e 2000 alla Galleria L’Attico di Roma, all’ Arte 92, di Milano nel 2002, all’Art Convention Center di Miami, alla Michelle Rosenfeld Gallery di New York e a Palazzo Strozzi, Firenze, nel 2006 al MOCA di Shangai, nel 2009 al MACRO di Roma. Barzagli ha inoltre eseguito numerose performances tra le quali Concerto per pianoforte e tentacoli, alla FIAC di Parigi e alla Kunstmesse di Colonia nel 1998; Sunnyfountain pose e posture per quattro danzatori un pesce spada, due tonnetti, otto polpi e quattro murene alla Farsetti Arte a Forte dei Marmi. Su di lui hanno scritto D.Auregli, H.Albert Peters, A. Barzel, A. Boatto, A.Bonito Oliva, M.Calvesi, S.Cincinelli, F.Gualdoni, L.Pratesi, S.Risaliti, F.Sargentini.

Rodolfo Ridolfi