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Iniziata la 36^ edizione della Graticola J’Um-Marè vola e rinnova la sfida con la Piaza e Vilanzeda.

Il Team del Rione Rosso anzi del Barone Rosso
lunedì 23 luglio
La mattina di Sabato 21 luglio non mi ero ancora ripreso dalla lunga notte del Disco party, organizzato in piscina da Marradi Free News, il primo evento di massa di questa promettente estate marradese 2012, quando sono stato svegliato dal rumore di un aereoplano che volteggiava sopra il cielo dell’antica Marciana e che lasciava presagire giorni e momenti significativi per J’Um-Marè, il rione pronto a difendere la sua Graticola d’oro fin dalla prima disfida in Piazza le Scalelle, domenica 22 sera. La lady rossa, la nuova caporione di J’Um-Marè, alla quale Maurizio Brunetti, l’abile ed intelligente tessitore del ritorno di J’Um-Marè agli antichi splendori, ha voluto cedere il posto di comando, ci aveva convocato per le ore 17,30 alle pendici della “Casa Rossa”, e se no dove? Per l’ultima genialata dell’imbandieramento. Quando siamo arrivati, accolti dal Team del Barone Rosso, abbiamo subito capito, osservando il veivolo rosso planato nell’area che già ospitò la rossa Ferrari, che le intenzioni del Rione per il 2012 erano di spiccare il volo ed aggiungere nella fusoliera, insieme alle altre 11 la tacca della 12^ graticola d’oro. Così è stato subito domenica, in Piazza Scalelle, quando J’Um Marè ha subito imposto il suo ritmo uscendo ancora una volta prima. Al secondo posto, lo storico e prestigioso antagonista di sempre, il titolatissimo rione de la “Piaza” e poi tutti gli altri pronti a gareggiare ed ad aggiudicarsi l’ambito Trofeo riconsegnato dal Barone Rosso, Iccio, al Sindaco di Marradi Paolo Bassetti che si è rivolto ai numerosissimi protagonisti della Graticola con parole di apprezzamento e di riconoscenza per quanto di positivo riescono ad esprimere nell’estate marradese e non solo. La competizione del 2012 si snoderà, fra gare e giochi, in piscina, allo stadio, a Campigno e Sant’ Adriano per poi tornare nel centro Storico il 10 agosto dove verrà assegnata la 36^ Graticola d’Oro, proprio, in occasione della Festa Patronale di San Lorenzo.

Rodolfo Ridolfi

24 luglio 1358 “La Battaglia delle Scalelle”


domenica 22 luglio
Sono passati seicentocinquantaquattro anni dalla Battaglia delle Scalelle e Marradi, come ogni anno, ricorda quel 24 luglio del 1358 con i giochi della Graticola d’Oro, la disfida tra i rioni, che iniziano proprio in Piazza Scalelle per protrarsi con giochi e competizioni fino al 10 agosto festa patronale di San Lorenzo.
Per ricordare il 24 luglio del 1358, una pagina fra le più fulgide scritta proprio nella Romagna Fiorentina negli anni bui delle guerre e delle invasioni del tardo medioevo, dell’evento, spesso trascurata dalla storiografia locale, si sono occupate compiutamente quattro pubblicazioni: una dell’abate Giovanni Mini, “La vittoria al Passo delle Scalelle presso Campigno” Castrocaro 1892; due del marradese Renato Ridolfi: “Campigno La Battaglia delle Scalelle” del 1977 e ”Val D’Amone 24 luglio 1358 Cantata de Le Scalelle” Accademia degli Incamminati 2002 ed una del rontese Alfredo Altieri : “La battaglia delle Scalelle Marradi 1358” edizioni Pagnini 2004. Dal libro Val D’Amone 24 luglio 1358 Cantata de Le Scalelle di Renato Ridolfi, impreziosito dalla copertina recante il bozzetto della sconfitta de la compagnia del conte Lando, che ripropone per i lettori una delle pagine più importanti della storia marradese assurta a simbolo dell’orgoglio e del riscatto nazionale italiano dall’invasore quella appunto della battaglia delle “Scalelle” riportiamo qui alcune pagine:

“Il sole è alto e l’afa assai pesante; le cicale friniscono noiose, i ranocchi son sempre infastiditi e per la mulattiera polverosa rumor di ferri, scalpiti e nitriti. Avanza la cavalleria: Ghigo del Cavalletto le conduce in avanguardia attento, sulla strada che monta a Le Scalelle. La Grande Compagnia per le balze del Lavane e Campigno cerca i castelli Vicchio e Dicomano per essere pronta a dilagar nel piano. Caldo è il mattino; l’aria par tranquilla. Passano i cavalli indisturbati: non c’è vita d’uomini e animali tra le balze, le forre, i boschi e i prati: Avanti, avanti il transito è sicuro. Avanti, compagnia luttuosa, chè il terror, la potenza ed il fracasso tengono libero il passo! E per la gola stretta, faticosa, si serrano le truppe rumorose, sudate, cariche di ferro, di bottino, delitti e presunzione. La strada sale, verso il cielo; il sole batte: è un luccicare intorno: raggi d’oro e d’argento. E vanno e vanno gli uomini: son cento, no, più di mille e ancora tanti. Par che la valle stretta a Gamberara non possa contenerli tutti quanti. E sempre vengon sotto, ansanti, chi ride, chi urla, impreca, canta, beve; chi si lamenta del piacer breve della sera avanti, chi spera di trovar nel Mugello donne amorose, vino e buon ostello. Già l’avanguardia è a Farfareta, guadagna il Corniolo isolato, scavalca l’Alpe verde alla faggeta: E’ in vista delle piane della Sieva. Il grosso di quei turpi masnadieri passa Cà di Rinieri a Valdimora. Arranca, maledice e si dibatte: la mulattiera è pregna di sudore! Davanti a tutti col cimiero in mano, la briglia abbandonata, il capitano sul suo bianco caval: Michele Lando grande signore. Venuto da Alemagna per predare e farsi più potente, batte i territori fiorentini per contrastar gli scudi di Perugia in guerra coi senesi e gli aretini. Segue la truppa tintinnante di ferri che fan aspra la salita . Ansimano le spade ed i cimieri nella polvere che copre l’orizzonte e la meta che ad arrivare indugia. Quei predoni forzano i sentieri dell’Alpe che s’apre nel Mugello. Cigolano i carriaggi in retrovia appena mossi da Biforco irato. Conte Broccardo messo a parar le spalle, rude e solenne ha dato il via. C’è sussultar di ruote e un tentennar di carri. Trasudano i muli scalpitanti, li frenano! I postiglioni frustano i trapele le bestemmie calano nel fondo. Oh, spettacolo immane, impressionante, giammai visto nel mondo! Si meraviglia il caldo sol dei cieli, il fior del rosolaccio e dello spino. I tamburi or sono alle Scalelle dove par che la strada sia men dura: si arrestano un momento a respirare, a tutto petto l’aria deliziosa, ma un rotolar di massi e di tronconi rompe la pace e cade sugli ignari. Rumor di tuono, paura e sgomento! La vendetta li ha colti a dieci, a cento, li spinge nelle forre e nel burrone; son cavalli, son fanti ed i cariaggi che precipitano in gran confusione. Urla, grida, bestemmie, imprecazioni, rumor di ferri disperati, tonfi. Vera tempesta con fulmini e tuoni! Disordine, ferite, gran spavento han reso timorosi gli spacconi che cercan scampo tra le macchie folte. Ma nel verde fogliame traditore altro sangue, altra morte, altro furore. I valligiani offesi, indemoniati, fanno lavar col sangue ogni sopruso. Pochi maschi, le donne ed i bambini battono, graffiano, spogliano i guerrieri così forti e potenti ancora ieri, ora tapini, deboli, in balia di due forche, una marra e la follia strappata alla miseria e alla pazienza da quattro o cinque spicci di violenza. Non si salva nessun, neppure il duce Michel Corrado di Landau il conte: disarcionato, sanguina la fronte, ferito e senza spada lo tengono prigione. Paura assai pesante tra le scorte che sbandate nei boschi e tra i dirupi cercan, fuggendo, scampo da quei lupi che senza tregua li vogliono a morte. L’acqua del torrente è fatta rossa del sangue di uomini e animali. La grande compagnia è sgominata e lacrima nei boschi pugnalata. Non riceve pietà: son fatte belve le donne nel cercar chi fugge: odio, rancore in ogni petto rugge. Cala la notte sopra l’ecatombe, si spegne ogni lamento dei feriti. La luna tinge bieca la vendetta che gode nel cantar della civetta.”

Al “Passo delle Scalelle”, nei pressi di Campigno è stato eretto, nel 1931, un cippo in arenaria per ricordare la “Battaglia delle Scalelle” (1358), quando i villani locali distrussero la compagnia di ventura comandata dal Conte Lando. Dino Campana nei Canti Orfici scrive: “…Ascolto: Le fontane hanno taciuto nella voce del vento
Dalla roccia cola un filo d’acqua in un incavo. il vento allenta
E raffrena il morso del lontano dolore.”

Il Sindaco Bassetti e l’assessore alla cultura Gurioli inaugurano la Mostra di Ricamo 2012 “C’era una volta il baule…apriamolo, vediamo cosa contiene” curata da Maria Luisa Barzagli

domenica 15 luglio
L’evento della settimana a Marradi è indubbiamente: “La Mostra di Ricamo” che si è aperta alle ore 11,30 e rimarrà aperta fino al 19 agosto nella Chiesa del Suffragio di Piazza Scalelle costruita nel 1732 per volontà di Alessandro di Lorenzo Bandini. Il tema dell’edizione 2012 della Mostra : “C’era una volta il baule…apriamolo, vediamo cosa contiene”. All’apertura della Mostra curata dalla signora Maria Luisa Barzagli e patrocinata dal Comune di Marradi erano presenti il Sindaco Paolo Bassetti e l’assessore alla cultura Silva Gurioli. Marradi è un centro della Romagna Fiorentina dove l’arte del ricamo rievoca antiche tradizioni. Marradi ha molto da offrire a chi decida di passare qualche giorno nella capitale culturale della Romagna toscana e, in particolare, per gli appassionati di mestieri dimenticati, la cittadina adagiata sulle sponde del Lamone si fa notare per essere riuscita a conservare la tradizione del ricamo. Ormai sono pochissime le ricamatrici che continuano a lavorare e a insegnare, ma, nel secolo scorso, la valle del Lamone, stretta fra Faenza a Marradi, è stata centro d’eccellenza per un’arte che rischia di perdersi.
L’associazione del Tempo Libero, presieduta da Vincenzo Benedetti oltre a occuparsi di molteplici meritorie iniziative, organizza ogni anno l’esposizione, dove è possibile ammirare manufatti che, di anno in anno, diventano sempre più rari. Ci piace per l’occasione ricordare che fra le nostre maestre di ricamo, va assolutamente annoverata Suor Maria Giacinta Casadio delle Domenicane di Clausura del Convento della SS.Annunziata, che ricamò il gonfalone del Comune di Marradi con l’aiuto di suor Maria Maddalena Serrati nel 1957 e che è ricordata per come pazientemente e lungamente ha insegnato a tante giovani rosarianti i segreti dell’arte del ricamo. Un gonfalone Comunale fu commissionato e ricamato anche dalle Suore della Carità di San Giuseppe (le suore dell’Asilo) nel 1909.

Chi volesse visitare la mostra lo può fare il giovedì-saboto e domenica dalle ore 20 alle 22,30
la domenica ed i festivi dalle 10 alle 12

Dino Campana-127° anniversario della nascita e 80° della morte- Idee e Politica

G.Bottai-P.Bargellini
domenica 15 luglio
Troppo spesso assistiamo al tentativo, spesso per motivi poco nobili, di distorcere o addirittura di rimuovere e di falsificare l’essenza del pensiero di Dino Campana così come emerge dai suoi scritti.
Proviamo allora a fare un po’ di ordine su questo straordiario uomo di cultura su questo poeta universale:
La passione con cui Campana ci lascia note, frasi, accenni, allusioni all’Italia, alla Germania, all’Europa, alla guerra, alle “razze“, alla questione nord-sud, la nettezza di certe sue prese di posizione, confermano un rapporto sottotraccia ma evidente tra letteratura e politica. Certo, quella di Campana non è una poesia con la politica per oggetto, ma letteratura che nasce dal contatto con la dimensione politica. L’ispirazione è Nietzsche attraverso le figure del “Germano” e dell’Italia che determinano la Tragedia echeggiano un “vecchio triplicismo” e implicazioni culturali patrimonio comune del decadentismo; ma questo non è che il punto di partenza, la materia di cui Campana si serve per far scattare procedimenti poetici e politici assolutamente originali. Il “Germano” non è dunque un incidente di percorso e una boutade di provincia, come sostiene Soffici. Il significato della tragedia dell’ultimo Germano in Italia e la dedica al Kaiser, è Campana stesso a spiegarla “Ora io dissi: «Die Tragedie des letzen Germanen in Italien», mostrando di avere conservato la purezza morale del Germano che è stata la causa della loro morte in Italia. Ma io dicevo ciò in senso imperialistico e idealistico non naturalistico (cercavo idealmente una patria non avendone). Il Germano preso come rappresentante del tipo morale superiore (Dante, Leopardi, Segantini). Un forte senso di appartenenza ad una comunità, più grande nei rapporti fra l’individuo e la società, il passaggio dal germanesimo al populismo patriottico, dalle figure del “germano” e del boy whitmaniano a quella del «povero italiano» emigrante, risultano quindi coerenti al sogno di una comunità di patria”.
L’Italia del Canto proletario e il “povero italiano” si accomunano così al boy e al ‘Germano” in quanto vittime di un assassinio subito: massacro, non solo simbolico, ma letterale, se si pensa al fronte e alla trincea. In quest’ottica i Canti Orfici sono anche un “piccolo libro contenente poesie patriottiche” pensando alla “patria” come ad un fine che il movimento della vita e della scrittura di Campana non riesce mai ad intercettare.
Neuro Bonifazi afferma “Dino Campana è stato guidato dalla ideologia nietzschiana, intesa come la ragione mitica alla iniziazione della vita e della poesia, ha avuto una cultura straordinaria, conosceva molte lingue e leggeva testi stranieri nella loro lingua originale. Ha, in un certo senso, messo in pratica il vangelo nietzschiano, non certo per il superuomo, ma per quella sua capacità di elevarsi idealmente verso la bellezza apollinea, nobilitarsi alla luce dell’assoluto contro tutte le viltà e le povertà del quotidiano (solo così possono spiegarsi i suoi comportamenti, gli atteggiamenti, le sue fughe, i suoi viaggi).”
I documenti ed i testi ci ricordano come il Comune di Marradi per lungo tempo sia stato oggetto di fortissime critiche per non aver fatto molto per onorare la memoria di Dino Campana. Il ministro della Cultura fascista Bottai sollecitato da Bargellini fu invece decisivo, nel 1942 per dare a Campana, dieci anni dopo la morte, una sepoltura dignitosa ed il giusto e solenne riconoscimento insieme a tutti gli uomini della cultura del tempo.
Sempre i documenti e gli atti ci confermano come negli anni ‘50 a Marradi durante i consigli comunali, ci furono addirittura dei consiglieri di sinistra che non volevano sentir parlare di Campana che consideravano non solo “E’ Mat” ma addirittura un precursore del fascismo. E quando i cittadini di Marradi lanciarono l’idea di onorare questo Dino Campana, si opposero per due anni consecutivi, cioè nel 1952 e nel 1953, allo stanziamento in bilancio di 500 mila lire per le celebrazioni. Ai soliti “idioti” di Marradi si aggiunse la Giunta provinciale amministrativa che ritenne di depennare, la posta con il pretesto che il bilancio di Marradi era deficitario.
Anche in tempi più recenti, negli anni ottanta la proposta di introdurre accanto a Marradi Campana come nuovo nome del Comune fu contestata e respinta da coloro che ritenevano più importanti le “castagne”. Quando si decise di titolare una via a Sibilla Aleramo due signore del Consiglio Comunale non esitarono a manifestare il loro dissenso “morale”, astenendosi.
Emblematiche del clima anni ‘50 sono due lettere del senatore Emilio Sereni, e del sindaco in merito all’intitolazione di una Via a Dino Campana che alla fine avvenne nel 1954 con una commemorazione del marradese prof. Sergio Zacchini al ponte di Vilanzeda “sotto una pioggia intensa ed un vento fortissimo” Ecco una lettera indirizzata all’onorevole Emilio Sereni dal sindaco, prima di prendere un simile provvedimento
“Caro Senatore,
“Ci è stato proposto da più cittadini di intitolare una via del nostro capoluogo al defunto poeta Dino Campana.
“Dino Campana era marradese e noi ben volentieri aderiremmo alla richiesta. Desideriamo però sapere da te se il valore di Campana è tale da meritare il riconoscimento. Ciò anche in rapporto al momento politico attuale.
«Grazie. Cordialmente,
f/to: II Sindaco
Il senatore comunista Sereni così rispondeva al compagno sindaco di Marradi
“Caro Compagno,
“penso che sia giusto intitolare a Dino Campana una via del vostro capoluogo.
“Dino Campana è indubbiamente un nome autorevole della poesia moderna e ormai passato alla storia della letteratura.
“Non c’è nessun riserbo politico nei sue confronti. Tanto più che la sua pazzia toglieva ogni responsabilità ad ogni sua posizione politica, né, d’altronde, ne ebbe mai dichiaratamente reazionarie.
“Sarebbe bene fare inaugurare la via ad uno scrittore toscano. Vedete di scrivere a Romano Bilenchi, a Firenze, se volesse lui parlare per l’occasione.
f/to: Sereni

Dino Campana fu un uomo spesso frainteso, la varietà e le contraddizioni delle sue prese di posizione in pochi anni (dall’ interventismo all’antibellicismo, dal germanesimo al patriottismo italiano all’accanimento filofrancese, dall’aristocraticismo al populismo) ha alimentato l’immagine di un poeta confuso sul piano delle idee, della politica e della società, tanto che più volte i suoi discorsi politici sono stati considerati dal potere e dalla cultura ad esso asservita appendici legate alla contingenza dell’epoca, da tenere ben distinte e separate dal poeta puro. Direttamente o indirettamente, l’interpretazione di Soffici, secondo cui il Germano è poco più che un incidente di percorso, ha resistito fino ai giorni nostri.
Il Germano sembra essere difficilmente digeribile per la critica più strettamente letteraria, perché costringe a travalicare i confini della letteratura. Per troppo tempo il modo di leggere Campana era quello di confinarlo nell’ambiente dell’ermetismo fiorentino e della poesia pura, privo di qualsiasi interesse per i discorsi politici. Fra i primi Gianfranco Contini, pur affermando di voler lasciare la biografia di Campana, e dunque anche i suoi gesti politici, fuori dalla valutazione della sua poesia, finisce per emettere una sentenza impropria e politica che conclude: “Questo anarchico, questo bohémien non seppe liberare l’uomo d’ordine che era in lui”. Anche Jacobbi, estimatore del Campana poeta, non gradisce la dimensione civile e politica di Dino Campana, che bolla come poco autentica, giungendo ad usare espressioni molto forti quando parla di Campana “decadente come persona e cittadino“, popolano,provinciale.La grandezza della poesia campaniana confligge con il mondo esterno ed i gesti del Campana politico, non possono essere rimossi o relegati nel mondo della Pazzia perché non sono in sintonia con la cultura egemone e dominante da troppo tempo impegnata ad accaparrarsi un grande poeta che lo vorrebbe però epurato o addirittura modificato strumentalmente a seconda degli interessi del momento. Dedicare il libro al Kaiser, a guerra cominciata, poi convertirsi a un’idea italo-francese di democrazia, sfiorare il nazionalismo è questo Dino Campana. Campana non fa poesia ideologica; ma per questo il Campana politico con le sue idee è capace di darci il sapore di un’epoca, con le sue istintive ripulse, Il continuo sfuggire, la sistematica protesta ci fa riflettere.
Se allarghiamo lo sguardo oltre i Canti Orfici, anche all’epistolario e ai frammenti sparsi o inediti, salta agli occhi una quantità di discorsi “politici”, tutti ai margini dell’opera campaniana, come il frontespizio e la dedica “germanici”; questo coacervo di considerazioni “politiche” potrebbe forse essere qualcosa di più un velleitarismo dell’individuo Campana, indicando invece un collegamento, della scrittura con una dimensione politica, più profonda e decisiva di quanto non sembri indicare. Pier Paolo Pasolini, parlava di una «sostanziale innocuità di fronte al reale che è stata strumentalizzata dalla cultura di destra», la quale si sarebbe subito impadronita di Campana:
La follia della Destra è sempre stata formale e retorica: ecco dunque un folle “vero” che faceva al caso suo. Pur con tutta la cautela del caso, dobbiamo denunciare la strumentalità dei letterati italiani tradizionali, primi fra tutti gli ermetici che hanno visto in lui l’espressione vivente e politicamente pericolosa – della aspirazione nietzscheana al superuomo interiore, spiritualista e delirante … Campana non fa della poesia “civile” o “politica”. I Canti Orfici non parlano delle cose della politica, che pure stavano trascinando l’Europa verso la catastrofe, mobilitando, oltre a masse enormi di popolazione, anche la quasi totalità del mondo intellettuale. La politica, in Campana, non è tanto il contenuto della poesia, ma nemmeno soltanto un contesto che la colpisce di riflesso. C’è, con buona pace di chi non gradisce, tutta una tradizione illustre di poesia civile italiana, che dalle origini era giunta fino al tempo di Campana, passando per la mediazione classicistica di Carducci e le esperienze più decadenti di Pascoli (populismo contadino) e D’Annunzio (estetismo della politica); perfino i futuristi vi si riallacciavano, proponendo una poesia che aveva la politica e gli eventi storici tra i suoi oggetti più frequentati (una poesia civile sui generis, certo, e d’assalto, ma che raccoglieva e rilanciava l’eloquenza e la retorica tipiche della tradizione italiana: una poesia che pretendeva di farsi portavoce e sprone dei destini della nazione; non a caso Marinetti scrisse anche il testo del Movimento politico futurista e un Manifesto del partito politico futurista).Campana si mantiene al confine di questa linea tuttavia in questa direzione si deve leggere la poesia A Mario Novaro.

Rodolfo Ridolfi