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68 anni orsono il 10 luglio 1944 la morte a Gamogna del calciatore partigiano Bruno Neri e di Vittorio Bellenghi

Bruno Neri rifiuta il saluto fascista
martedì 10 luglio
Domenica nove luglio ‘44 nel Casale di Modigliana, dove si trovava il parroco partigiano don Angelo Savelli, si riunì il battaglione Ravenna, forte di una quarantina di uomini, per prendere posizione fra la banda Corbari e la 36a Brigata Garibaldi Bianconcini. Il comando venne affidato a Vittorio Bellenghi, Nico, ex ufficiale del Regio Esercito ed al suo vice Bruno Neri, nome di battaglia Berni, calciatore che aveva giocato nel Faenza, nella Fiorentina, nel Torino e nella Nazionale italiana. La formazione partigiana si mise in movimento lungo il sentiero del crinale, diretta al Lavane e la sera aveva sorpassato il Torretto e l’indomani avrebbe raggiunto Gamogna. La strada fra Marradi e San Benedetto brulicava di tedeschi che avevano alle Canove il loro comando retto da un capitano con circa cento militari e molti uomini del luogo, rastrellati forzatamente e costretti ai lavori stradali. I due comandanti, partigiani, Bruno e Vittorio, decisero, con grande imprudenza, di andare da soli in avanscoperta a perlustrare l’area. Quando, nel primo pomeriggio, con le armi in pugno, giunsero al cimitero, vennero sorpresi allo scoperto da una pattuglia tedesca e nello scontro a fuoco furono uccisi. Il parroco, don Angelo Ferrini, cercò di dare ai due giovani una sepoltura dignitosa, ma, come raccontò in una intervista del 1989, dopo aver trasportato, aiutato dal partigiano Vincenzo Lega, i corpi dei due giovani nella cappella del cimitero parrocchiale, si recò in municipio a Marradi a chiedere le bare che gli furono negate con questa motivazione: “Non possiamo disporre nulla per dei traditori, per dei partigiani”. “Quindi dovemmo seppellirli in una fossa comune avvolti nella paglia e nelle frasche”. Il giorno successivo don Ferrini durante l’imponente rastrellamento nazista, dopo essere stato apostrofato dai tedeschi “Tu pastore badogliano adesso fare Kaput a te e bruciare chiesa”, come racconta Carlo Martelli nel suo libro Fascismo Antifascismo, sfuggì per miracolo alla morte grazie all’intercessione, presso i tedeschi, del parroco di Albero, don Vittorio Fabbri.
Rodolfo Ridolfi

Marradi onora la “Madonna del Popolo”La Festa d’estate festa della Madonna del Popolo fu celebrata per la prima volta nel 1895

domenica 8 luglio

Riportiamo da Marradi Free News del luglio 2010 una parte dell’articolo che segue scritto per l’occasione della festa marradese della “Madonna del popolo”

Nel tardo medioevo “un pio pellegrinaggio venuto dall’Oriente, lasciò a Marradi una graziosa statua della Madonna con il bimbo Gesù” La leggeda racconta che il pellegrino in età avanzata nel consegnare la sacra immagine assicurasse he un giorna sarebbe tornato a riprendersela ma non tornò mai più. I marradesi vollero chiamarla e venerarla come Madonna del Popolo e la elessero a loro protettrice. La prima festa della Madonna del Popolo si celebra nel 1775. Quest’anno compie quindi duecento trentacinque anni.

“Ne la sera dei fuochi… ne la luce deliziosa e bianca…”, Marradi rievocherà il 18 luglio prossimo la festa d’estate che Dino Campana ambienta nel suo paese natale, come dimostra Franco Scalini nel suo lavoro “Nell’odore pirico di sera di fiera”.

Tradizionalmente l’avvenimento ha una data ben precisa e cioè la seconda domenica di luglio, festa della Madonna del Popolo, ma nel 1906 la celebrazione, fu posticipata per farla coincidere con l’inaugurazione di una fiera di beneficenza allestita nel loggiato delle scuole comunali a favore dell’ Asilo infantile che si stava costruendo per accudire i figli delle molte donne lavoratrici.

Campana nella sezione undicesima e dodicesima della Notte (Canti Orfici) ricorda quella sera di fiera e di fuochi che le cronache del tempo datano 22 luglio 1906 e che fu “splendida ed imponente”….

La redazione

Il mare come metro di paragone della vita e dell’arte di Campana

Copertina del Libro di Enrico Gurioli
domenica 8 luglio

Mirna Gentilini, Presidente del Centro Studi Campaniani Enrico Consolini commentando il libro di Enrico Gurioli “Barche Amorrate” per l’editore Pendragon scrive: Non so come Campana avrebbe raccontato la storia della sua vita se gli fosse stato chiesto di scriverne . Certamente non si sarebbe soffermato sugli avvenimenti del suo periodo storico, né avrebbe narrato i particolari dell’esistenza, sovente travagliata, di amici o artisti a lui vicini, né sarebbe riuscito ad esporre in perfetta oggettività gli accadimenti che lo riguardavano, esaminandoli a 360°.
Avrebbe costruito però un quadro “visivo”della sua vita, descrivendo personaggi, luoghi, atmosfere, ambienti, scenari naturali ed urbani. Sarebbe passato , come se avesse avuto in mano una cinepresa, dai campi lunghi alle zumate, dai monti al mare, dal “muggente” Lamone all’ “acqua gialla d’un mare fluviale”.
E noi ci saremmo sentiti al suo fianco: avremmo scoperto l’uomo con le sue normalità e le sue bizzarrie, le sue azioni e reazioni ad un mediocre contesto sociale.
Così mi sono sentita mentre scorrevo le pagine del libro di Enrico Gurioli e mi sorprendevo di fronte ad un racconto che avrebbe dovuto essere per me risaputo ma che invece, leggendolo pagina dopo pagina, trovavo decisamente nuovo. Anzi inconsueto.
Non il romanzo verità, non la biografia cronologica, né lo stereotipo del pazzo o del poeta maledetto, ma l’uomo Campana, consapevole della sua malattia, che per dare senso alla sua esistenza segue “virtute e canoscenza” e cerca nella poesia il riscatto ad un destino che ritiene di non meritare.
Entro questo ambito il viaggio, una costante della vita errabonda del poeta, diventa un imperativo categorico che non si consuma solo sulla terra fra e i monti, ma anche sul mare e nei porti.
Nell’avere puntato la ricostruzione biografica, prendendo come base la vita in mare e del mare, sta la seconda novità del nuovo libro di Enrico Gurioli edito da Pendragon. Decisamente interessanti sono le pagine dedicate all’analisi dei canti marini, all’uso del linguaggio e alle motivazioni che giustificano ed interpretano quell’improbabile titolo “Barche amorrate”, considerato per lungo tempo un refuso del tipografo Ravagli.
Il mare quindi usato come metro per comprendere meglio le liriche di Campana valutando poi la vita e l’opera di un poeta che al mare ha assegnato il compito di dire se un uomo è un artista: “col caro mare nel petto, col caro mare nell’anima” come egli scrive. Sotto questa luce è spiegata anche la scelta del titolo “Canti Orfici” con chiaro riferimento ad Orfeo, dio dei poeti, ma anche marinaio che contribuisce con il suo canto al successo degli Argonauti nel loro audace viaggio in mare.
Le partenze, i ritorni, i luoghi della vita autentica di Campana scorrono davanti ai nostri occhi accompagnati dalle cronache del tempo e arricchiti di particolari che diventano fascinosi specie quando l’autore ci introduce nel mondo misterioso del porto del Rio de la Plata e ci parla del lunfard e dei tanghero, oppure fra i vichi marini di Genova.
Non dimentica Gurioli di trattare anche l’ultimo viaggio, quello chiamato amore,che lui definisce “storiaccia con Sibilla”, dal quale Campana coscientemente uscirà distrutto.
Un libro insomma in cui l’autore attraverso i canti marini, consapevole che la vita e la poesia di Campana sono un unicum, ci permette di riscoprire l’uomo senza dimenticare il poeta.

Mirna Gentilini (Presidente Centro Studi Campaniani)