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Marradi onora la “Madonna del Popolo”La Festa d’estate festa della Madonna del Popolo fu celebrata per la prima volta nel 1895

domenica 8 luglio

Riportiamo da Marradi Free News del luglio 2010 una parte dell’articolo che segue scritto per l’occasione della festa marradese della “Madonna del popolo”

Nel tardo medioevo “un pio pellegrinaggio venuto dall’Oriente, lasciò a Marradi una graziosa statua della Madonna con il bimbo Gesù” La leggeda racconta che il pellegrino in età avanzata nel consegnare la sacra immagine assicurasse he un giorna sarebbe tornato a riprendersela ma non tornò mai più. I marradesi vollero chiamarla e venerarla come Madonna del Popolo e la elessero a loro protettrice. La prima festa della Madonna del Popolo si celebra nel 1775. Quest’anno compie quindi duecento trentacinque anni.

“Ne la sera dei fuochi… ne la luce deliziosa e bianca…”, Marradi rievocherà il 18 luglio prossimo la festa d’estate che Dino Campana ambienta nel suo paese natale, come dimostra Franco Scalini nel suo lavoro “Nell’odore pirico di sera di fiera”.

Tradizionalmente l’avvenimento ha una data ben precisa e cioè la seconda domenica di luglio, festa della Madonna del Popolo, ma nel 1906 la celebrazione, fu posticipata per farla coincidere con l’inaugurazione di una fiera di beneficenza allestita nel loggiato delle scuole comunali a favore dell’ Asilo infantile che si stava costruendo per accudire i figli delle molte donne lavoratrici.

Campana nella sezione undicesima e dodicesima della Notte (Canti Orfici) ricorda quella sera di fiera e di fuochi che le cronache del tempo datano 22 luglio 1906 e che fu “splendida ed imponente”….

La redazione

Il mare come metro di paragone della vita e dell’arte di Campana

Copertina del Libro di Enrico Gurioli
domenica 8 luglio

Mirna Gentilini, Presidente del Centro Studi Campaniani Enrico Consolini commentando il libro di Enrico Gurioli “Barche Amorrate” per l’editore Pendragon scrive: Non so come Campana avrebbe raccontato la storia della sua vita se gli fosse stato chiesto di scriverne . Certamente non si sarebbe soffermato sugli avvenimenti del suo periodo storico, né avrebbe narrato i particolari dell’esistenza, sovente travagliata, di amici o artisti a lui vicini, né sarebbe riuscito ad esporre in perfetta oggettività gli accadimenti che lo riguardavano, esaminandoli a 360°.
Avrebbe costruito però un quadro “visivo”della sua vita, descrivendo personaggi, luoghi, atmosfere, ambienti, scenari naturali ed urbani. Sarebbe passato , come se avesse avuto in mano una cinepresa, dai campi lunghi alle zumate, dai monti al mare, dal “muggente” Lamone all’ “acqua gialla d’un mare fluviale”.
E noi ci saremmo sentiti al suo fianco: avremmo scoperto l’uomo con le sue normalità e le sue bizzarrie, le sue azioni e reazioni ad un mediocre contesto sociale.
Così mi sono sentita mentre scorrevo le pagine del libro di Enrico Gurioli e mi sorprendevo di fronte ad un racconto che avrebbe dovuto essere per me risaputo ma che invece, leggendolo pagina dopo pagina, trovavo decisamente nuovo. Anzi inconsueto.
Non il romanzo verità, non la biografia cronologica, né lo stereotipo del pazzo o del poeta maledetto, ma l’uomo Campana, consapevole della sua malattia, che per dare senso alla sua esistenza segue “virtute e canoscenza” e cerca nella poesia il riscatto ad un destino che ritiene di non meritare.
Entro questo ambito il viaggio, una costante della vita errabonda del poeta, diventa un imperativo categorico che non si consuma solo sulla terra fra e i monti, ma anche sul mare e nei porti.
Nell’avere puntato la ricostruzione biografica, prendendo come base la vita in mare e del mare, sta la seconda novità del nuovo libro di Enrico Gurioli edito da Pendragon. Decisamente interessanti sono le pagine dedicate all’analisi dei canti marini, all’uso del linguaggio e alle motivazioni che giustificano ed interpretano quell’improbabile titolo “Barche amorrate”, considerato per lungo tempo un refuso del tipografo Ravagli.
Il mare quindi usato come metro per comprendere meglio le liriche di Campana valutando poi la vita e l’opera di un poeta che al mare ha assegnato il compito di dire se un uomo è un artista: “col caro mare nel petto, col caro mare nell’anima” come egli scrive. Sotto questa luce è spiegata anche la scelta del titolo “Canti Orfici” con chiaro riferimento ad Orfeo, dio dei poeti, ma anche marinaio che contribuisce con il suo canto al successo degli Argonauti nel loro audace viaggio in mare.
Le partenze, i ritorni, i luoghi della vita autentica di Campana scorrono davanti ai nostri occhi accompagnati dalle cronache del tempo e arricchiti di particolari che diventano fascinosi specie quando l’autore ci introduce nel mondo misterioso del porto del Rio de la Plata e ci parla del lunfard e dei tanghero, oppure fra i vichi marini di Genova.
Non dimentica Gurioli di trattare anche l’ultimo viaggio, quello chiamato amore,che lui definisce “storiaccia con Sibilla”, dal quale Campana coscientemente uscirà distrutto.
Un libro insomma in cui l’autore attraverso i canti marini, consapevole che la vita e la poesia di Campana sono un unicum, ci permette di riscoprire l’uomo senza dimenticare il poeta.

Mirna Gentilini (Presidente Centro Studi Campaniani)

“Giù per la China ripida” Campana e la bici

mercoledì 4 luglio
Alfredo Oriani pubblicò nel 1902 “La bicicletta”: “Virgilio cantò il cavallo, Monti il pallone, Carducci il vapore, molti la nave, nessuno ancora la bicicletta”. È il racconto del suo solitario viaggio nell’estate del 1897 per la Romagna e la Toscana (mille chilometri, scrive con qualche esagerazione), attraverso campi assolati, borghi, città, luoghi della memoria e della storia, come la Verna, Siena, Montaperti, Pisa. È il libro più importante e più bello dedicato in Italia al ciclismo e alla bicicletta. Di essa dice:”è la mia libertà, giacché dal primo giorno che inforcai la sella della bicicletta, mi sentii come un evaso, e voi sapete che solamente i prigionieri hanno della libertà una profonda passione e la più lirica idea””La bicicletta è una scarpa, un pattino, siete voi stessi, è il vostro piede diventato ruota, è la vostra pelle cangiata in gomma……….La bicicletta siamo noi, che vinciamo lo spazio e il tempo: soli, senza nemmeno il contatto con la terra che le nostre ruote sfiorano appena “.

Nei Canti di Castelvecchio (1903) Pascoli dedica una poesia alla bicicletta:

dlin … dlin… mia labile strada,/ sei tu che trascorri o son io?/ Che importa? Ch’ io venga o tu vada,/ non è che un addio!/ Ma bello è questo impeto d’ala,/ ma grata è l’ebbrezza del giorno…

Però a noi interessa quell’aspetto agonistico e dinamico, successivamente cantato anche dal Futurismo e rappresentato da Boccioni.
Avviciniamoci a Marradi e a Dino di cui si conoscono quattro versioni della poesia ciclistica:

“Giù per la china ripida” nel Quaderno, una ne “Il più lungo giorno” col titolo – Giro d’Italia in bicicletta (1° arrivato al traguardo di Marradi) -, un’altra dedicata a F.T. Marinetti col titolo “Traguardo” ed infine la parte centra dell “Immagini del viaggio e della montagna”.

Già nel 1907 fu fondato a Borgo S. Lorenzo il Ciclo Club Appenninico il cui primo presidente fu Francesco Arquint, di origini svizzere; nello stesso anno ci fu la prima edizione della Milano-Sanremo; nel settembre del 1909 ci fu il primo Giro dell’Emilia (insieme alla prima edizione del Giro d’Italia).

A livello letterario Luigi Graziani, di Bagnocavallo e docente al liceo di Lugo, scrisse in esametri la Bicyclula, In re cyclistica Satan, (1899, 1902), in cui, fra l’altro si riprende una polemica sull’uso, da parte dei parroci in tonaca, di tale nuovo mezzo.

Dal libro scritto da Rodolfo Ridolfi, campaniano doc, “Domenico Vanni, sovversivo per la libertà” Ed. Marradi Free, Newes, finalmente sappiamo il nome del vincitore di quella corsa cantata da Dino: appunto suo nonno Domenico Vanni nato nel 1889. Si riporta l’edizione dell’Eco delle Scalelle nel numero unico del 13 luglio 1952, pubblicato per la Festa della Madonna del Popolo. L’articolo firmato Adriano, sotto il titolo “Glorie del Passato Vecchi Tempi e Vecchi Campioni del 1909”, rievocando la corsa Firenze-Marradi del 1909, recita:

“Quella notte i cittadini marradesi, non chiusero occhio specialmente i giovani! In quella lontana giornata dell’estate 1909 era atteso l’arrivo, con ansia spasmodica, della prima grande corsa ciclistica Firenze-Marradi di oltre 90 Km che l’impareggiabile Cecchino Dal Pozzo aveva così brillantemente organizzato. Già alle 8 del mattino, un imponente gruppo di atleti, più di 70, è pronto per il via dal Ponte Rosso in Firenze, per slanciarsi, moderni dominatori dello spazio e del tempo, sulle allora deserte, assolate e polverose strade mugellane. C’era davvero motivo per perdere il sonno almeno per una settimana. Il meraviglioso, l’importante, l’incredibile, è che nello squadrone in partenza, insieme ai migliori dilettanti nazionali quali Marzocchini, Ciucchi, Guardiani e Mosconi, già celebri, ci sono anche i tre campioni locali: Betti Angiolino, Consolini e Vanni Domenico. Questi sono i nostri pionieri delle moderne avventure, i nostri primi eroi della bicicletta, i simboli e gli antesignani dei tempi nuovi, i beniamini di tutta la nostra gioventù. Tutta Marradi fin dalle nove si accalca sui marciapiedi di fronte all’ospedale e sembra che molta gente sia improvvisamente impazzita; “sono o non sono partiti?
Sì, devono essere sulla salita di Polcanto! Saranno arrivati a Borgo? Macché, nemmeno a Vicchio! Quanti sbaglieranno strada a Panicaglia? Devono essere a Ronta! A Razzuolo! Vorrei contare quelli a piedi sulla Colla di Casaglia! Ci sarà l’Avvocato a Camurano? Arrivano, eccoli, no è Parigino che si torna a casa! Largo, largo, eccoli! No è il cane di Lorenzone; lasciatelo passare che ha paura! È troppo tardi! No è troppo presto! Ormai è mezzogiorno e non arriva più nessuno! All’improvviso, sudato irriconoscibile, dondolante quasi come un ubriaco, accolto da mille braccia arriva il 1°; è il nostro Domenico Vanni! Non arriva a scendere che viene acclamato e portato in trionfo! Viva Vanni! La gloria c’è, la carriera non può mancare; tutti ne sono sicuri tranne proprio l’interessato!”.

Fra “quelli a piedi sulla Colla di Canaglia” ci deve essere stato Dino Campana. Riporto il mio commento nella recente ripubblicazione del “Quaderno”:

DALL’ALTO GIU’ PER LA CHINA RIPIDA
Dall’alto giù per la china ripida

O corridore tu voli in ritmo

Infaticabile. Bronzeo il tuo corpo dal turbine

Tu vieni nocchiero del cuore insaziato.

5 Sotto la rupe alpestre tra grida di turbe rideste

Alla vita premeva, gagliarda d’ebbrezze.

Bronzeo il tuo corpo dal turbine

Discende con lancio leggero

Vertiginoso silenzio. Rocciosa catastrofe ardente d’intorno

10 E fosti serpente anelante col ritmo concorde del palpito indomo

Fuggisti nell’onda di grido fremente, col cuor dei mille con te.

Come di fiera in caccia di dietro ti vola una turba
Dall’alto giù per la china ripida o corridore tu voli pedalando con ritmo infaticabile. Tu vieni, primo fra gli altri, col tuo corpo bronzeo nelle onde tempestose del gruppo turbinoso (o bronzeo per il turbine dell’aria che tu fendi?) (e come Caronte sbaragli le loro anime), e conduci (nocchiero) il tuo cuore che ha continua sete di gloria e di avventura (insaziato).Voli sotto la rupe alpestre tra grida di turbe risvegliatesi alla vita primeva fatta di gare e scontri atletici, che si infervorava d’ebbrezze.Il tuo corpo bronzeo, forte e pertinace, con uno scatto apparentemente leggero lascia il gruppo nel vertiginoso silenzio.I tornanti delle rocce catastrofiche ti videro come un serpente fra le curve, che anelante prendevi allo stesso ritmo dei tuoi palpiti; e tu fuggisti come sospinto dall’onda di grido fremente, rafforzando il tuo cuore coi mille cuori che ti acclamavano e a cui facesti provare la stessa emozione.
Gli altri staccati, volano in turba dietro a te, come fossero in caccia di una fiera.

Da Immagini del viaggio e della montagna nei C.O.
L’aria ride: la tromba a valle i monti

Squilla: la massa degli scorridori

Si scioglie: ha vivi lanci: i nostri cuori

Balzano: e grida ed oltrevarca i ponti.

E dalle altezze agli infiniti albori

Vigili, calan trepidi pei monti,

Tremuli e vaghi nelle vive fonti,

Gli echi dei nostri due sommessi cuori…..

Hanno varcato in lunga teoria:

Nell’aria non so qual bacchico canto

Salgono: e dietro a loro il monte introna:

. . . . . . . . . . . . . . . . .

E si distingue il loro verde canto

Bicicletta e Poesia di Silvano Salvadori.