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GIANNA BOTTI SI AGGIUDICA IL PRIMO PREMIO AL CONCORSO NAZIONALE LETTERARIO “MARA CASSIGOLI” CON IL RACCONTO “CUORE NEGATO”

G.Botti-E.Gardenti-F.M.Casini-D.Maraini
domenica 6 maggio
Nessun dubbio per la Giuria dei Lettori presieduta da Francesca Maria Casini e composta da: Anna Amodeo, Stefano Casci, Erica Gardenti, Gianni Malesci, Giuliana Marra, Stefano Maurri, Elena Trabaudi, Cecilia Trinci; il primo premio della II edizione del “Mara Cassigoli” voluto ed organizzato da Erica Gaudenti dell’editrice fiorentina Sole Ombra con il patrocinio del Comune e della Provincia di Firenze se l’è aggiudicato Gianna Botti con il suo appassionante “Cuore Negato”, racconto inedito, che farà parte del suo libro “E mail a quattro zampe”. Gianna si è imposta ai duecento partecipanti precedendo una scrittrice di Brescia ed una di Ferrara ed ha ricevuto sabato scorso l’ambito riconoscimento dalle mani di Dacia Maraini nel corso della cerimonia di premiazione alla Biblioteca delle Oblate a Firenze dove Giannarosa Botti era accompagnata dall’assessore alla cultura del Comune di Marradi Silva Gurioli.
Marradi Freenews, che aveva segnalato come Giannarosa Botti, che fa parte dell’Associazione Culturale “Il Maestro di Marradi”, fosse fra i finalisti del premio letterario nazionale pubblica integralmente per il piacere di tutti i lettori il racconto della vincitrice.

CUORE NEGATO
Il ragazzo andò alla finestra: pioveva a dirotto. Per un po’ rimase a guardare il giardino opaco a cui la pioggia aveva lavato ogni traccia di colore, poi avvicinò la mano e con l’indice tracciò tre lettere sul vetro: Joy.
Beffardo sorrise al proprio nome, lui era così, lucido e immobile come quegli alberi. Volse la sedia a rotelle entrando in chat line. Lasciata in sospeso una conversazione priva di qualsiasi interesse, si riportò alla finestra. Girò la maniglia tendendo la mano all’esterno : bagnata e vuota sporgeva dal davanzale, quando un movimento in fondo al prato lo incuriosì. Tenendo l’anteriore destro sollevato da terra, un cane procedeva su tre zampe.
Viva via che avanzava, joy ebbe modo d’osservarlo meglio: rossiccio, bagnato fino all’osso, sporco, sicuramente affamato non poteva essere che un randagio, uno a cui la vita aveva servito brutte carte. D’improvviso il cane si fermò, annusò l’aria.
I loro occhi s’incrociarono e rimasero a fissarsi attraverso la pioggia. Joy strinse le mascelle: quell’animale non gli piaceva. –
Profondamente a disagio chiuse la finestra, diresse la sedia nel lato opposto della stanza, prese un libro dallo scaffale e s’immerse nella lettura.
Quando rialzò la testa era buio.
Tornò alla finestra: il cane era ancora lì, si sarebbe detto un ammasso di foglie morte se non fosse per quegli occhi, che in barba alla pioggia, lo fissavano solenni.
Due fanali balenarono in fondo al vialetto, il cane si alzò, scrollò il pelo e saltellando su tre zampe sparì nell’oscurità della sera.
Joy riconobbe l’auto del padre e contemporaneamente gli giunse la voce di sua madre che lo chiamava a cena. Scese al piano di sotto utilizzando l’ascensore installato molti anni prima, quando, dopo aver consultato specialisti di mezzo mondo, i genitori
si erano arresi all’evidenza: il loro bambino non avrebbe mai camminato.
Giudicato perfettamente sano dal punto di vista motorio e celebrale, la diagnosi era caduta lapidaria: non camminava perché non voleva farlo.
A nulla erano valse dolcezza, attenzioni, stimoli e ogni sorta di tentativo si era rivelato inutile, Joy rimaneva immobile. E se adesso non frequentava amici né amiche, non era certo perché lo emarginassero, semplicemente i rapporti umani non lo interessavano, il mondo così com’era non l’interessava. Gli piaceva imparare, la sua mente era una spugna assetata di sapere, ecco perché a diciassette anni frequentava il primo anno di fisica. L’handicap non gli pesava, anzi lo considerava l’esternazione della sua diversità del suo essere “speciale”.
Lui era un cervello, a cosa gli servivano le gambe?
La mente è onnipotente, amava ripetersi: concepisce pensieri, inventa, crea. Si muove nel tempo e nello spazio senza barriere, non conosce limiti. La mente è libertà, assoluta, totale. Se posso pensarmi ai confini della galassia e contemporaneamente nella profondità degli abissi, perché limitarsi ad un corpo lento. Ed era con la stessa implacabile analisi che valutava i genitori. Che differenza c’era fra gli stami che producono polline e gli spermatozoi di suo padre? Nessuna. In entrambi i casi era stata rispettata la prima delle leggi naturali: la crescita della specie. Il caso aveva deciso l’incontro dei cromosomi, la moltiplicazione cellulare, la doppia spirale del DNA e se era quello che era, lo doveva solo a se stesso.
Con questi pensieri in testa sedette a tavola. Come ogni sera cenarono conversando del più e del meno e come ogni sera, dopo la frutta, il padre si piazzò davanti al televisore:- Ti fermi un po’ con noi?-
– Un’altra volta papà, ho delle dispense da leggere. Buona notte.-
– Portati un’arancia, hai mangiato così poco.-Disse la madre accarezzandogli i capelli.
Tese il braccio e invece dell’arancia, prese un pezzo di pane.
Risalito in camera evitò d’accendere la luce, attraverso i vetri sbirciò nel prato: accucciato sotto il tettuccio del garage, il cane era sempre là. Con gesti misurati aprì la finestra, prese il pezzetto di pane e lo lanciò. Il cane volse la testa, vide il pane, ma non si mosse. Alzò gli occhi alla finestra. Joy si tirò in dietro e per un po’ rimase nel buio a guardare l’alone sfumato dei lampioni proiettare cerchi nella notte. Dopo un
tempo che gli parve infinito tornò a sbirciare: il tozzo di pane era sempre lì:- Peggio per te. – Masticò fra i denti. Aprì il fascicolo delle dispense deciso a non pensarci più. Così credeva, ma gli occhi dell’animale tornavano ad ossessionarlo. Stizzito posò la cartella e per toglierselo dalla mente, entrò in internet.
Navigando a casaccio s’accorse d’aver aperto un portale cinofilo. Diligentemente comparò le caratteristiche delle varie razze cogliendo l’iter che aveva generato il randagio. Un sorrisetto illuminò il viso: – Sei il frutto del caso, il caos totale…Caos, ecco il nome giusto. Pensò mordicchiando la penna a sfera. Ma che te ne faresti di un nome se non hai né ieri né domani, se ignori il senso della tua esistenza…Strinse i denti, rendendosi conto che quei concetti poteva applicarli a se stesso.
Quella notte dormì poco e male. Dopo una rapida colazione decise di aspettare il padre lungo il vialetto. Girò gli occhi intorno: il pane non c’era, e nemmeno il cane. Salì in macchina, ma fatte poche decine di metri, lo scorse accucciato sul marciapiede. L’auto gli sfilò davanti e Joy non poté trattenersi dal lanciargli una fugace occhiata. Fu allora che nello specchietto laterale, lo vide saltare sull’asfalto e con quel suo balzellare scoordinato lanciarsi all’inseguimento. Chiuse gli occhi e li tenne serrati fino a che non giunsero in tangenziale.
Accantonato il senso di malessere entrò in facoltà. Terminate le lezioni attraversò il cortile dirigendosi all’uscita. D’un tratto il respiro gli morì in gola: seduto oltre il cancello, con le orecchie dritte, il cane fiutava l’aria: pareva attendere qualcuno. Interdetto Joy fece dietrofront. Improvvisamente qualcosa gli sfiorò la mano. Abbassò gli occhi, il randagio gli annusava le dita. Percorso da un brivido ritrasse la mano. La testa del cane si sollevò. Sentì l’ispido del pelo e un inspiegabile calore spandersi in tutto il corpo. Mosse le labbra:- …Caos…- L’animale sembrò rispondere al nome, si protese sui posteriori leccandogli la guancia. Nel tentativo di sottrarsi all’improvvisa, antigienica effusione, Joy si rese conto che la zampa destra non aveva dita né cuscinetti, solo un larga purulenta mutilazione.
– …Aspettiamo mio padre.-
Diligente il cane si accucciò e lui inavvertitamente lasciò penzolare il braccio quel tanto da non perdere il contatto.
Sopraggiunto in quel frangente, il padre sgranò gli occhi : non lo aveva mai visto interessato ad un essere vivente! Senza porre domande li caricò entrambi in macchina. Parcheggiando davanti al primo gabinetto veterinario che gli venne a tiro, chiamò la moglie.
Dubbioso il dottore scosse la testa:-Il tuo amico è robusto, ma non garantisco…-
Drastico Joy l’interruppe- Non è mio amico, è solo un randagio.-
– Lui invece ti considera tale…Allora ragazzo, lo tieni ochiamo il canile?-
– Per il momento… Si.-
– Con che nome devo registrarlo?-
– Caos.-
Al suono della voce il cane drizzò le orecchie, il veterinario ammiccò:- Strano nome,
ma sembra piacergli…Ok Caos, vediamo di curarti.-

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Quella sera le attenzioni familiari trovarono un comune focalizzatore nella sistemazione dell’ospite.
Poiché il ragazzo non poteva farlo, fu il padre a deporlo nella cesta miracolosamente apparsa in un angolo della cucina.
Avvicinando cibo e acqua la madre lo accarezzò :-Riposa sereno, adesso hai una casa.-
Joy invece l’osservò scettico : era un randagio, non sarebbe rimasto a lungo e andava benissimo così. Cenò in silenzio evitando l’argomento“nuovo arrivato” e come sempre salì in camera a studiare. Faticò a prendere sonno e quando finalmente si addormentò fu assalito da inquietanti visioni di cani che al pari di giudici lo condannavano a pene terrificanti. Con la fronte imperlata di sudore e il respiro affannoso balzò a sedere sul letto. Accese la lampada: accucciato sulle coperte Caos lo guardava. Un brivido percorse la mente del ragazzo, il cane sbadigliò distendendosi sul piumone. Interdetto se scacciarlo o tenerlo, rimase a fissarlo fino a che si arrese all’impulso che lo portava a stabilire un contatto fisico. Scivolando dai cuscini, lasciò che il cane gli si accucciasse accanto. Spense la luce e ritmando il respiro al suo quieto alitare chiuse gli occhi.
Lo scoscio della pioggia, il fragore dei tuoni non lo disturbavano: adesso poteva dormire sonni sereni.
Da quel momento Caos elesse domicilio nella sua stanza.
Nelle settimane che seguirono formarono un binomio inscindibile interrotto solo
dalla pausa universitaria e ben presto Joy s’accorse d’attendere con impazienza la fine delle lezioni. Amava particolarmente il rientro a casa: le feste, i mugolii di cui era oggetto lo riempivano di soddisfazione e sebbene davanti ai genitori non lasciasse trapelare nulla, era nel chiuso della camera che ricambiava con carezze su carezze. Venne l’inverno e una domenica il giardino si ricoprì d’un soffice strato bianco, Caos mostrò tutto il gradimento esibendosi in salti e capriole.
Sulla porta Joy l’osservava.
Al pari dei candelotti lucidi e freddi che pendevano dal tetto, la ragione disegnò gelidi arabeschi : la zampa se pur menomata stava bene, e con la guarigione c’era la
possibilità che se ne andasse…

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La mattina della vigilia di Natale, quando aprì gli occhi, Joy trovò il letto vuoto.
Scattò sui gomiti – Caos!!- chiamò attendendo impaziente lo scricchiolio del parquet che preannunciava la sua venuta. Con inquietudine crescente lo chiamò ancora: nessuno varcò trotterellando la soglia della stanza.
In tutta fretta salì sulla sedia a rotelle, prese l’ascensore, spalancò la porta d’ingresso. Piccole inequivocabili impronte segnavano la neve verso il cancello.
Un freddo improvviso gli attanagliò le membra, desiderò trasformarsi in un cumulo di neve: insensibile, gelido.
Con la mente in subbuglio e il corpo granitico rimase sulla suglia fino a che una coperta gettata sulle spalle e la voce del padre lo destarono dalla catalessi.
Con le mani strette intorno alla tazza bevve il tè caldo, poi, senza una parola, si chiuse in camera. Come un proiettore inceppato la mente riproponeva le stesse immagini mentre i ricordi salivano a fiotti tagliandogli il respiro. Voleva gridare, maledire l’ingrato, ma era con le labbra sigillate e il volto impenetrabile che piantato davanti ai vetri, ignorò i richiami del pranzo e della cena.
Nel silenzio bianco della notte d’un tratto lo vide infilarsi stra le sbarre del cancello.
In un attimo fu alla porta. La spalancò: scodinzolante Caos era lì, con quella espressione furbesca e intrigante che gli conosceva bene.
Deciso Joy lo afferrò per il collare. Raddoppiando gli sforzi, con una sola mano diresse la carrozzella fino alla rimessa, l’altra teneva saldamente il cane che si mostrava reticente.
Nel buio della baracca tastò sulla mensola alla ricerca della torcia. Non trovandola optò per le candele che sapeva essere nel cassetto del tavolo da lavoro. Armeggiando con l’accendino riuscì ad accenderne una. Nell’alone fioco il taglia erba, i rastrelli e le zappe gli parvero degni guardiani per l’ingrato fuggitivo. Girò gli occhi intorno alla ricerca d’ una corda, ma l’esigua portata luminosa non gli consentiva di scorgere oltre
il proprio naso. Accese un’ altra candela e poi una terza.
Come se avesse capito ciò che gli stava accadendo, Caos si dimenò.
La rabbia di Joy esplose: con uno strattone lo rincantucciò fra la parete di legno e i sacchi di terriccio, staccò la corda dal supporto e con un doppio giro assicurò il collare a un robusto gancio di ferro. Indietreggiò osservando la propria opera e chiusa
a chiave la rimessa, rientrò a casa.
Ingrato, arrogante randagio, come aveva potuto andarsene e poi avere la sfacciataggine di tornare …Ma adesso avrebbe capito, e per dimostrare chi comandava lo avrebbe tenuto là due notti, meglio tre. Concluse infilando la testa sotto il cuscino. Stizzito si alzò sui gomiti, il cane abbaiava. – Dovevi pensarci prima…- Mormorò stringendo nel pugno la chiave della rimessa.
Passi nel corridoio, qualcuno scendeva rapidamente le scale, poi la voce del padre proruppe in un grido:- C’è fumo nella rimessa, Marisa chiama i pompieri!-
Joy balzò a sedere: rivedeva chiaramente le candele accese sul bordo del tavolo, i
trucioli per terra… La coscienza di non averle spente lo pugnalò con una stilettata al costato.
Mentre il padre con la sistola in mano correva nella neve, Joy comparve sulla soglia di casa.
 La chiave, papà, la chiave!- Il grido si perse nei latrati che insieme al fumo sprizzavano dagli interstizi della rimessa.
Con gli occhi sgranati Joy spingeva le ruote della carrozzina.
In un fracasso di vetri spezzati la finestrella sul lato schizzò in aria seguita da una lingua di fuoco che si allungò come a voler riprenderla. Il padre fece un passo in dietro, Joy lo raggiunse in quell’istante
 La chiave!-
Più acre del fumo , il suo sguardo si posò sul figlio. Impotente lasciò cadere la sistola.
L’eco delle sirene riempì la notte. Con le mascelle serrate il padre corse a spalancare il cancello.
Solo davanti alla rimessa, Joy piantò i gomiti sui braccioli e con l’urlo d’un sollevatore di pesi si mise in piedi. Sotto lo sforzo le braccia tremarono e per una frazione di secondo oscillò cercando di tenersi in equilibrio. Impietrita sulla soglia, con le mani premute sulle labbra, la madre soffocò un urlo. Barcollando Joy raccolse le forze. La mente che aveva tanto osannato si rivelava impotente.
“Muoviti, andiamo, muoviti!”ripeteva a denti stretti. Ma le gambe molli parevano inchiodate al suolo. Di colpo un tam tam sordo gli rimbombò nel petto, riconobbe i battiti del proprio cuore: martellanti crescevano d’intensità sopraffacendolo. Chiuse gli occhi e affidandosi a quel palpito sconosciuto, al pari d’un funambulo, mise un piede avanti bilanciandosi con il braccio contrario, poi fu la volta dell’altro…un passo, ancora uno. Ecco la porta, la serratura, il Clic della chiave che liberava il catenaccio. Spinse le ante, una vampata rossa gli fece perdere l’equilibrio.
Cadde.
Affondò le dita nel terriccio e arrancando come un ragno chinò il capo penetrando nel fumo che asciugava i polmoni e faceva lacrimare gli occhi.
Tutt’intorno era un crepitar di fiamme. Vicine, eppure ovattate dalla fuliggine densa, lingue di fuoco sibilavano sopra la testa. Avanzò fino al centro della rimessa e nel bagliore d’una vampata lo vide.
Joy strisciò sui gomiti, a tastoni trovò la corda, il nodo.
 Via Caos, via!-
Benché libero il cane non si mosse, fissandolo grave gli si accucciò vicino.
Un lembo di tetto crepitante si frantumò a poca distanza. Joy inorridì: Caos aveva deciso di rimanergli accanto.- Vattene!- articolò respingendolo, ma il cane si rannicchiò più vicino. – Testardo d’un randagio, hai deciso di morire?! Non te lo permetterò…-Con uno sforzo titanico si mise su un ginocchio, e passate le braccia sotto il cane lo strinse al petto.
Deglutì, abbassò la testa. Un rantolo lacerò il fumo: senza più fiato Joy era in piedi.
Affiancato da quattro pompieri il padre sopraggiunse all’istante: la carrozzina vuota, la rimessa aperta, il fumo che fuoriusciva lo inchiodarono al suolo. In un attimo il cuore gli saltò in gola: con Caos in braccio Joy usciva barcollando dalla rimessa. Quella speranza agognata e poi dimenticata proruppe in un grido,le braccia al cielo,cadde in ginocchio.
– Tira un bel respiro…Sei in gamba ragazzo, hai salvato il cane. – Disse un pompiere sorreggendolo
Con la guancia lorda di fuliggine premuta sul muso, levò gli occhi- Sbaglia signore… è’ lui che ha salvato me…-

La mente è il cilindro,
il cuore il pistone che spinge e martella…
se c’è una scintilla, s’accende il motore che muove la vita.

Dino Campana la vita, i canti marini e i misteri orfici nell’ultimo libro di Enrico Gurioli che sarà presentato a Livorno il 14 maggio.

venerdì 4 maggio
Il 14 maggio prossimo, in collaborazione con l’Associazione nazionale Gruppi Ormeggiatori e Barcaioli Porti Italiani (ANGOPI), sarà presentato, alla Fortezza Vecchia di Livorno, l’ultimo libro di Enrico Gurioli “Barche Amorrate. Dino Campana. La vita, i canti marini e i misteri orfici” edito da Pendragon. Per l’occasione andrà in scena una piece teatrale tratta dal libro stesso che vedrà impegnati gli attori Oscar De Summa, Riccardo Monopoli; il soprano Federica Balucani e il pianista Pape Gurioli con la direzione tecnica di Fabio Sartoni. L’ultima fatica letteraria di Enrico sarà al Salone del Libro di Torino dal 10 al 14 maggio e immediatamente disponibile in libreria e come e-book dopo il Salone.
Nella prefazione del libro di Enrico Gurioli si legge: “…Ho raccontato che esiste anche un Dino Campana che non andava cercato soltanto tra i castagneti dell’Appennino Tosco Romagnolo o a Firenze, bensì nelle stive delle navi, fra le banchine dei porti, fra i canali dell’Europa e della Pianura Padana, nei bassifondi de La Boca a Buenos Aires dove si parla il lunfard. La lingua dei tangueiros. Sono partito dall’indizio di “Barche amorrate” interpretandolo attraverso il lunfard l’incipit “ Le vele, le vele, le vele”; un gioco di sillabe da decodificare attraverso il vesre, ossia l’inverso di revés, che significa ‘contrario’, il modo di parlare usato nelle carceri di Rio della Plata per non farsi comprendere dalle guardie. Una particolare forma di comunicare invertendo l’ordine delle sillabe di una singola parola diventato poi lo slang dei ladri (lunfa) di Buenos Aires e Montevideo, il modo di esprimersi nei testi del tango; ritmo conosciuto da Campana.”.

Rodolfo Ridolfi direttore responsabile

25 aprile e primo maggio per celebrare la libertà ed il lavoro

domenica 29 aprile
Marradi Free News celebra il 25 aprile ed il primo maggio riproducendo un articolo ed il testo del discorso di Attilio Vanni, nato a Marradi il 12 aprile 1885, biforchese, impresario edile, sindaco socialista dal gennaio all’ aprile 1945, membro socialista del CLN con Arturo Scalini, uno dei promotori del PSDI di Saragat nel 1947.
“…Quando fu liberato il paese, e la popolazione rifugiata sui monti tornò alle case, …I primi animosi iniziarono l’opera di soccorso e di riorganizzazione della vita civile. Assunsero questa responsabilità Attilio Vanni ed Arturo Scalini e il compagno Cantini, divenuto quindi primo sindaco di Marradi. Le difficoltà furono enormi ma in un tempo piuttosto breve per la tenacia di alcuni uomini e con l’aiuto del governatore alleato, fu possibile dare alla popolazione pane, acqua e luce. Fu un miracolo. Non avvocati, non giuristi, non chierici, ma uomini di popolo hanno tenuto le redini del Comune fino ad oggi dando prova di onestà e spirito di sacrificio per la causa del proletariato”.
Il discorso tenuto da Attilio Vanni il 1° maggio del 1945, il primo dopo che Marradi fu liberata dagli alleati il 25 settembre del 1944, è una pagina molto bella, improntata ai valori più pregnanti del riformismo turatiano, preludio alle più moderne teorie socialdemocratiche che hanno prevalso nella storia del movimento operaio dopo la caduta del muro di Berlino nel 1989.
“Cittadini marradesi, Compagni! Mentre gli ultimi avanzi di quella che fu la tirannia fascista volge ignominiosa e la giustizia umana ha finalmente inchiodato al muro il rinnegato Mussolini; mi è caro potervi liberamente parlare in questo 1° Maggio, che si riallaccia all’antica consuetudine di celebrare la festa dei lavoratori. Ricordiamoci, che non dobbiamo essere degli approfittatori di questa libertà tanto duramente conquistata poiché altrimenti cadremmo nell’errore del 1919, i fatti che si sono succeduti ci debbono dare esempio, se vogliamo che questa nostra Italia risorga bella e libera non insozzata di sangue impuro, non abbandoniamoci in pretese egoistiche, tutto ciò che desideriamo deve avere scopo collettivo, poiché soltanto, seguendo l’antica divisa socialista: uno per tutti e tutti per uno, potremo risanare le orribili ferite che dilaniano la nostra povera Patria. Nelle rovine e nelle distruzioni che vediamo nel nostro paese, dobbiamo vedere l’immagine di quelle che sono le sofferenze di tutta l’Italia. Mentre noi pensiamo intanto alla ricostruzione delle nostre case distrutte mettiamo in questa opera la nostra volontà e tutto il nostro spirito di sacrificio. Solo con una stretta e leale collaborazione di tutti i lavoratori del braccio e del pensiero, senza pregiudizio di partito, potremo riuscire ad ottenere veri e proficui risultati.
Lavoratori! Non aspettate a fare il vostro sforzo solo quando la vostra famiglia, sentirà la stretta del bisogno materiale, ma iniziamo subito l’opera della ricostruzione, con animo fermo e braccio vigoroso. Avremo così l’orgoglio di mettere il nostro paese uno dei più colpiti dall’asprezza della guerra, all’avanguardia dei paesi d’Italia.
Il braccio del lavoratore marradese, si è distinto sempre ovunque esso sia portato, in Italia ed all’estero, questo braccio deve oggi centuplicare le sue forze e dimostrare la sua bravura per ricostruire i focolari infranti e far sì che, il paese riprenda nel più breve tempo possibile il suo aspetto e la sua vita normale.
Date prova di voi stessi, perché soltanto così i vostri dirigenti potranno sostenervi di fronte a qualsiasi conflitto di interessi che potesse sorgere tra capitale e lavoro e difendere i vostri santi interessi”.

Rodolfo Ridolfi Direttore Responsabile

A Marradi “I segni dell’antichità nella Valle del Lamone”. Le foto dell’unica ascia-martello del eneolitico rinvenuta a Marradi. Le foto inedite in esclusiva per Marradi Free News

sabato 28 aprile
Si è svolto oggi, sabato 28 aprile al Centro Dino Campana di Marradi in Via Castelnaudary n.5, l’importante conferenza sui “Segni dell’Antichità a Marradi e nella Valle del Lamone”. Il convegno voluto ed organizzato dall’Associazione Culturale “Il Maestro di Marradi”, patrocinato dall’Assessorato alla Cultura, ha approfondito i temi legati alla storia ed ai ritrovamenti archeologici della Valle del Lamone ( la Pieve di Tho’, la necropoli di San Martino in Gattara, i reperti rinvenuti nel territorio del Comune di Marradi raccontati dall’archeologa faentina Valeria Righini e dalla storica fiorentina Cecilia Filippini dopo la prolusione dell’Assessore alla Cultura del Comune della Romagna-Toscana Silva Gurioli che ha insistito di fronte ad un folto ed attento pubblico su come l’iniziativa
bene si inserisca nel più ampio progetto cui anche il Comune di Marradi aderisce “Lamone Bene Comune”. In occasione del Convegno l’Associazione ha ricordato come la prima presenza umana nel territorio del Comune di Marradi sia testimoniata da un ascia-martello in pietra verde scura rinvenuta a Valbona nell’area Badia della Valle Ponte della Valle raccolta in superficie e oggi è conservata ed inventariata al Museo Pigorini di Roma con il numero 23773. “L’unico e più significativo ritrovamento del eneolitico nel territorio del nostro comune è quest’ascia di diabase,pietra con la quale è stata realizzata, che presenta caratteristiche ricollegabili ai tipi peculiari della cultura di Rinaldone probabilmente di provenienza laziale, lo stesso Luigi Pigorini nel febbraio del 1884 nella sua relazione al ministro della Pubblica Istruzione, sull’incremento del Museo, afferma che deve essere particolarmente menzionato per quanto riguarda la Toscana il martello di pietra di Marradi in Provincia di Firenze tanto per la sua bellezza quanto perché utensili simili hanno acquistato notevole importanza dopo le osservazioni del prof. Gaetano Chierici. L’ascia in oggetto faceva parte della Collezione Giglioli, acquistata dal Museo Pigorini.
Il numero presente sull’inventario Giglioli è il 13163/g . si tratta dell’ ascia, comprata dal Pigorini nel 1881 e inventariata con il numero d’inventario del Museo 23773.
Pigorini nè dà notizia sul Bollettino Ufficiale, Ministero P.I. 1884, Seconda relazione sull’incremento del Museo. La relazione è inserita dopo la p. 120, con propria numerazione delle pagine (pp. 3-23). Seconda relazione di Luigi Pigorini a S. E. il Ministro della Pubblica Istruzione
dove al terzo paragrafo scrive testualmente:
…..Dalla provincia di Verona passo alla Toscana, per ricordare oggetti litici dei dintorni di Montepulciano nel Senese, e del comune di Marradi nella provincia di Firenze. Fra essi spicca un mazzuolo di pietra del Comune di Marradi, che deve essere menzionato particolarmente, tanto per la sua bellezza quanto perché utensili simili hanno acquistato notevole importanza dopo le osservazioni del prof. Gaetano Chierici……” ha detto Rodolfo Ridolfi concludendo
“Ringrazio per le immagini inedite e l’autorizzazione al loro uso e pubblicazione il Sovrintendente prof. Luigi La Rocca e il prof. Mario Mineo Archeologo Direttore Coordinatore dell’”Archivio Fotografico Corrente disegni e mappe”, dell’ “Archivio Storico Cartaceo” e del “Laboratorio Fotografico””

La redazione